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Al Museo Nazionale di Kyoto

Fanno molte mostre temporanee interessanti, presso il Museo di Kyoto, e spesso ci vado proprio per queste ma devo dire che, nella maggior parte dei casi, la mostra permanente rimane la parte che più di tutte mi affascina... e non importa che oramai io l'abbia vista e rivista infinite volte: ogni volta riesco a perdermici per ore.

Come ad esempio questa volta, poco prima che la minaccia del CoronaVirus non mi mettesse dinnanzi alla scelta di auto-impormi una quarantena personale, come richiesto dal Governo.

Mi piace la pittura tradizionale giapponese e più si va indietro nel tempo, più diventa meno raffinata e composita... e più mi piace.

Mi piacciono i dipinti su carta come quelli sui pannelli fino ad arrivare ai più famosi, ovvero le impressioni da legno, o stampe Ukyoe.

La cosa che, credo, più mi piace è che, soprattutto quelli antichi, non mostrano tutto bensì sono volutamente così sfocati da lanciare più un input alla mente che realmente mostrarle un'immagine, input da cui poi ognuno, lasciando volare la propria personale immaginazione, può creare il dipinto.

Le linee spesso sono approssimate, non c'è un senso della prospettiva e la tecnica è così semplice da sembrare quasi una bozza, più che un vero dipinto... e mi affascina proprio per questo.

Dove gli Ukyoe sono oramai sempre più vicini all'idea di dipinto che abbiamo in Italia, idea con cui siamo nati e da cui siamo stati circondati da sempre, visto che il nostro è un Paese che ha dato vita ad un numero impressionante, inimmaginabile di opere d'arte di incomparabile splendore (anche se spesso ce ne dimentichiamo, forse proprio perché ci han sempre circondato, tanto da divenire il comune background per i nostri sguardi), i dipinti che seguono lo stile Sumie, o, ancora di più, i Suibokuga, mi affascinano terribilmente.

 

Tutto ebbe inizio con dei giapponesi che, affascinati e curiosi, già fedeli grazie al poco con cui eran riusciti a venire a contatto, partivano per quel Regno evoluto e fonte di ogni scienza che era, all'epoca, la Cina: costoro erano i monaci che cercavano gli insegnamenti del Buddha, senza sosta, e bramavano insegnamenti "di prima mano" su cui meditare, poiché il concetto stesso era questo: io (leggasi: il Buddha) ti posso solo dire cosa c'è, ma devi essere tu a trovare la tua via per raggiungere questo "qualcosa".
Ma l'indole umana è quella di creare "modi di fare" le cose e l'indole giapponese è forse, nel nostro pianeta, quella che più sente il bisogno di avere questo genere di sentieri da seguire, seguire anche alla perfezione ma pur sempre seguire.

Così si partì dalle parole di un Illuminato che risvegliava le menti umane, sopite in una sorta di doloroso sogno di imperfezione e limiti, alla ricerca di un modo affinché la coscienza di ognuno, universo a sé stante, si potesse aprire... e si arrivò ad una Religione, con i dogmi, le preghiere già scritte, le regole e il numero di volte in cui, se si ripete una specifica frase, si raggiunge il Paradiso.

Ma torniamo a noi.

I monaci tornano in Giappone con una versione del Buddhismo già ampiamente contaminata (per altro anche politicizzata) studiata in Cina e, oltre alla Religione, portano con sé un sacco di altre cose interessanti relative ad arte, letteratura... insomma si portano dietro un po' tutta la cultura cinese, per come gli riesce di capirla durante la breve permanenza.

Una delle cose più belle della Storia è quando trovi quelle somiglianze che sembrano magia: come il nostro grande Impero Romano divenne ciò che studiamo, ciò che diede vita ad un po' tutte le culture Europee, tra cui radice della nostra Italia... dicevo, come il nostro Impero Romano si generò assorbendo tutto ciò che di meglio trovava attorno a sé (la scrittura, la Religione, la struttura politica... ogni singolo elemento insomma) e, lentamente, modellava ogni cosa secondo le proprie esigenze, così anche fece l'Impero Giapponese.

"Ehy", dicevano i giapponesi di allora, "buono questo Ramen... ma se ci mettessimo questa salsa invece di quest'altra?", oppure "bello questo stile poetico... ma se modificassimo un po' il ritmo?" e, ancora, "fantastico questo modo di dipingere... ma mi garberebbe di più se cambiassimo questo".

Ovviamente parliamo di cambiamenti avvenuti lentamente e ad opera di grandi personalità, elementi rari insomma: lo abbiam già accennato che in Giappone piace seguire le regole. no?
E difatti, tra le altre cose, giungeva lo stile pittorico Sumie (alcuni identificano il Suibokuga col Sumie, ma, in realtà, il Suibokuga è più un genere interno allo stile, secondo me): in Cina lo usavano per decorare con scenari locali e riportare in vita le loro leggende... e in Giappone fecero lo stesso.
Nel senso che anche in Giappone decoravano con scenari cinesi e con leggende cinesi.
In parole povere facevano delle fotocopie.

E d'altronde anche la letteratura inizialmente era questo: copiare e leggere testi cinesi o, nel caso si volesse creare qualcosa di nuovo, copiare un testo cinese comunque.

Poi, fortunatamente, prima uno e poi un altro (e poi basta), emersero artisti che decisero di staccarsi da tutto questo e generarono la loro ondata: un miracolo, se pensiamo che, anche al giorno d'oggi, dove le aziende non si sono ancora staccate dall'utilizzo del fax a favore dell'email e dove, al posto della firma digitale, quando vai negli uffici devi portarti dietro uno stampino ad inchiostro (hanko).

In ogni caso accadde e nel XIV secolo lo stile Sumie iniziò a dilagare per l'Impero, toccando il suol apice durante il Periodo Muramachi (1338/1573... da noi operava Leonardo Da Vinci, per capire il periodo).

 

La cosa che più mi affascina è che non si dipingeva solo sulla carta (e anche sulla carta ci sarebbe tantissimo da dire, vista l'affascinante storia, la creazione, la lavorazione e ancora i vari tipi e generi... ma non sarà questo il giorno!), ma un po' ovunque: sugli oggetti finanche sulle pareti.
Parlando di pareti nasce, quindi, il Fusumae, ovvero il "dipinto su Fusuma".

Se, sintetizzando e semplificando, una casa giapponese era composta, a livello di porte, finestre e pareti, da Shoji e Fusuma, potrebbe sembrare una costruzione ben banale, cosa che assolutamente non è.
Insomma, per parlare di una visita al museo mi sto perdendo in 5.000 argomenti, ma tutto è così interconnesso e tutte queste connessioni sono così interessanti che, per tagliar la testa al topo, diremo che lo Shoji è una pannello assai sottile, tenuto su grazie ad una ragnatela (a volte regolare, altre volte più "artistica") di sottili fasce di legno, mentre il Fusuma è quella che noi potremmo considerare una comune parete... solo che, essendo anche questa mobile, come il cugino Shoji, quindi che scorre su dei binari, ogni parete poteva esser porta o finestra.

In ogni caso si iniziò a decorare anche i Fusuma e chi avesse modo di visitare lo splendido Palazzo di Ninomaru, all'interno del complesso noto come Castello di Nijo, qui a Kyoto, potrà vedere un'arte a dir poco superba.

 

Insomma, ad un certo punto, si finì per esser letteralmente circondati da arte.
Un'arte sbiadita, soffusa, leggera, quasi un sussurro per sogni fantastici... il tutto grazie a questa tecnica chiamata Sumie.

 

Nara vedo sempre i negozi tradizionali che trattano il materiale per il Sumie, che poi è in parte lo stesso che si usa per lo Shodo (la calligrafia).
Ovviamente oggi ci sono metodi più... comodi per dedicarsi a quest'arte, vista soprattutto l'enorme contaminazione che, nel tempo, ha avuto dall'arte occidentale.

Ma per potersi cimentare in un dipinto Sumie che segua gli schemi più tradizionali, serve una specie di ciotola in una pietra scura nella quale versare lo speciale inchiostro.
E, in barba agli esperti (che tanto colleziono le loro critiche), il Suibokuga, che dir si voglia, dovrebbe utilizzare solo inchiostro nero, mentre nel Sumie si possono usare anche altri inchiostri colorati (con un setting per ogni colore, ovviamente).

In ogni caso hai questa bella ciotola dal peso importante con l'inchiostro.

Al di là di cose ovvie come un panno (anche questo dovrebbe esser ad hoc) per asciugare il pennello, di cui parleremo dopo, l'inchiostro, per rendere i vari effetti, ha bisogno di esser diluito in acqua e per farlo servono dei piattini di ceramica.
La domanda nasce spontanea: ma è necessario che i materiali fino ad ora, in maniera estremamente semplificata e riassuntiva, siano esattamente quelli?
Ovviamente no, ma la tradizione vuole che sia così... e così si fa.
Un po' come la tradizione che, quando hai delle bevute importanti ma non puoi permetterti il giorno dopo di essere uno zombie sotto delirium tremens, allora nel bicchiere da cui tracannerai alcool a fiumi, ci metti una pinna essiccata di un qualche pesce e questo ti aiuterà.
Che non ti aiuta minimamente, e il giorno dopo sarai comunque uno zombie sotto delirium tremens, ma un po' per non rovinare la tradizione anche quando non funziona e un po' magari per un miracoloso effetto psicologico, ci credi e continui a volare come il calabrone.

Tornando a noi, hai tutto il materiale e, si suppone, anche il dove dipingere... a questo punto arriva il vero protagonista: il pennello.

O, meglio, i pennelli.

Tanti.

Il corpo è in bamboo, con peli animali che saranno intinti nell'inchiostro: ci sono varie forme, lunghezze, densità e ogni altra possibile differenza, tra cui il diverso tipo di animale... ad esempio un pennello molto "grosso" di pali di pecora da un effetto molto sfumato, come le nuvole, mentre il cervo ci dona dei peli che, lavorati in un pennello sottile come un bisturi, ci permette delle linee sottili e precise.

 

In ogni caso io non ne sono capace (ma non mi arrendo, sia chiaro!) ma gli effetti che ho potuto vedere al Museo sono davvero straordinari: allego una galleria fotografica (che contiene anche qualche Ukyoe e altri oggetti vari, visto che c'erano... non mi sembrava carino ignorarli anche se non ne sto parlando per nulla).

L'unico lato negativo di questo Museo, dal mio punto di vista e per i miei personali gusti, è la struttura in sé: un po' anonima, in un appena accennato stile Meiji, in un quartiere residenziale... quasi non lo noti e, a guardarlo da fuori, non ci scommetteresti 10 yen che ospiti qualcosa di interessante.

C'è da dire che preferisco molto di più questo modesto edificio a quello del Museo Nazionale di Kyoto che, col suo appariscente stile, farebbe un figurone a Vienna... ma di certo suona come un pugno in un occhio incastonato tra il Tempio Buddhista Sanjusangendo e il Tempio Commemorativo Buddhista di Otani Honbyo.