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Gli scemi giapponesi

Tentando di guardare da un punto di osservazione esterno, gettando l'occhio proprio su quel che si dice della lingua giapponese al di fuori del Giappone, specificatamente sui socials italiani... sembra che la lingua giapponese sia una sorta di paradiso della perfezione: i suoni sono musica, i significati sono profondi, tutto è molto filosofico e zen, pace, amore e bontà.

I colori, le farfalle che si poggiano sui corni degli unicorni (che ok, non sono propriamente delle creature mitologiche giapponesi, ma ci stava come immagine... e poi qualcuno si inventerà, prima o poi, che un kanji ricorda un unicorno con una farfalla poggiata sul muso, per cui mi sto solo portando avanti col lavoro), i suoni melodiosi e gli arcobaleni... si, si, va bene, tutto molto bello e poetico ma ora andiamo in strada, nella strada reale, non quella che esiste solo nelle nostre teste, chiusi in una cameretta a guardare un giardino e senza parlare o ascoltare: andiamo in strada, tra la gente, tra i veri suoni della gente.

Si, oggi parliamo di scemi.

Un dato di fatto: quando impariamo una nuova lingua, per prima cosa cerchiamo gli insulti.

Un altro dato di fatto: la lingua giapponese è quasi del tutto priva di insulti.

 

I termini più comuni per insultare una persona, in Giappone, sia dal punto di vista "grammaticale" che nel gergo realmente utilizzato, sono quelli legati al "livello gerarchico" in cui poniamo il soggetto.
Nella lingua giapponese, come anche in italiano, anche se in maniera piuttosto diversa, a seconda del grado di rispetto che vogliamo dimostrare nei confronti del soggetto del discorso (che può essere l'interlocutore o un soggetto terzo), modifichiamo alcune parole: diamo del voi o diamo del tu, parliamo usando vocaboli cortesi o usiamo espressioni più grezze, ecc.

In lingua italiana, il momento più "aggressivo" nella comunicazione arriva quando entrano in campo gli insulti.

In Giapponese, invece, c'è una forma specifica.

 

Un esempio?

Sottolineare il suono della "r", risulta piuttosto violento.
"kora!" si usa per indicare qualcosa come "smettila!", e già di per sé fa parte della parlata volgare... ma se dicessimo "korra!" suonerebbe come un "smettila o ti prendo a schiaffi!" o semplicemente un "smettila, cretino!"

 

Quando si parla con qualcuno, la discussione imposta subito dei "ranghi": le regole a riguardo sono piuttosto complesse, per cui le salto a pie' pari, ma, per andare al sodo, diciamo che una parte molto importante la giocano i suffissi al nome di persona.

Sasori-san indica rispetto, equivale al nostro signor Sasori.

Sasori-kun indica comunque rispetto, ma allo stesso tempo una certa confidenza.

Sasori-chan (inascoltabile) indica una forte confidenza.

Allo stesso tempo, però, -kun e soprattutto -chan posizionano il soggetto come "inferiore" rispetto a chi parla: non si tratta di mancanza di rispetto, ma semplicemente posizionamento gerarchico (in genere -chan è legato all'età, ad esempio).

Come dicevo, è piuttosto complesso... ma mi serviva come base per passare a yatsu e yarou.

 

Visto che nella società giapponese mettere tutto nella giusta posizione gerarchica è molto importante, tanto da aver fissato le regole base della comunicazione (e non sto scherzando: se un ragazzo più giovane di me dovesse parlare di me dicendo "Sasori-chan" manderebbe in forte confusione gli astanti che potrebbero non capire che si sta riferendo a me e penserebbero ad una qualche ragazza molto giovane omonima... o ad un cane o un gatto, un canarino o qualcosa del genere...) prendere una persona soggetto del discorso è levarle ogni possibile rango... è il peggio che gli puoi fare.

Certo, ovviamente un giapponese che sente uno straniero parlare di Sasori, senza suffissi, non va a pensare subito ad una mancanza di rispetto ma, vedendolo appunto straniero, penserà come prima cosa che semplicemente non sa parlare bene giapponese... ma in una comunicazione ben oliata, che sia tra giapponesi come con stranieri che dimostrano una certa capacità, levare il suffisso al nome o non usare i termini corretti (quelli che prima paragonavamo all'uso del voi o del lei in italiano, per chiarirci) è l'insulto giapponese.

 

Le parole yatsu e yarou svolgono questo compito: yatsu indica un oggetto... lo potremmo tradurre con il nostro "coso".

Se, per esempio, io non ricordassi come si dice penna in giapponese e volessi chiedere di passarmi quella penna a qualcuno, come in italiano potrei dire "passami quella cosa", anche in giapponese potrei chiedere di passarmi quello "yatsu".

Ma quando si usa volontariamente yatsu per indicare un soggetto vivente, diventa offensivo... e se il soggetto è una persone, ovviamente è proprio un insulto.

Lo potremmo equiparare ad un "non vali niente, non ti considero neppure una creatura vivente".

 

Yarou è simile ma specifico: indica proprio una persona senza valore.

La forma meno "costruita" per dire la stessa cosa che potremmo dire con yatsu... ma dove yarou è più una parola che viene trascinata dall'enfasi emotiva del momento (in pratica viene più spontanea quando si perdon le staffe), yatsu è più un insulto ricercato e ben pensato.

 

Come forma di contorno a tutto questo c'è sempre lo sterco.

Si, la parola kuso, che letteralmente indica lo sterco.

La puoi unire a qualsiasi soggetto (mettendola prima della parola) per abbruttire ogni cosa.

Un automobile (kuruma) è semplicemente un oggetto... ma una kuso-kuruma diventa un'automobile di m...

 

E infine ci sono i due sovrani dell'insulto giapponese.

 

馬鹿 si legge baka e significa inutile, sia come aggettivo che come sostantivo. nel senso di cosa/azione inutile.

Nell'ottica che abbiam appena osservato, una persona inutile è il concetto proprio dell'insulto nella società giapponese... anche se lo si traduce spesso come stupido, in realtà non ha a che fare letteralmente con l'intelligenza della persona, bensì proprio si focalizza sul suo essere inutile.

Nota magari poco interessante, ma che può essere utile in generale nello studio della lingua giapponese: ci troviamo dinnanzi ad un termine ateji, ovvero una parola che si scrive con determinati kanji dei quali non bisogna mai guardare al significato.

In pratica all'epoca che fu, semplicemente han pescato due kanji che assieme davano il suono che volevano ottenere, senza badare a cosa significano.

Quindi no, non c'è alcuna correlazione al cavallo e al cervo (rispettivamente il primo ed il secondo kanji).

 

Qualcuno obietterà che ha sentito varie volte in anime la parola "baka" usata anche tra amici, senza scatenare reazioni incredibili.

Ed è vero.

Ma...

 

punto primo: i manga e gli anime non sono la vita reale.

Tralasciando l'ovvietà riguardo alle situazioni, anche nei casi delle opere più realistiche, in cui comunque si trovano personaggi burberi e che parlano come degli assassini psicopatici ma che vengono comunque tenuti nel gruppo... cosa che nella vita reale non accadrebbe mai (finisci per esser isolato già solo se arrivi in ritardo ad un appuntamento, figurati se dici alla gente che la vuoi far esplodere!)... anche il linguaggio dei manga/anime non è coerente con quello della vita reale.

In alcuni casi è per enfatizzare (i cattivi dicono cose molto esagerate che nessun criminale direbbe nella vita reale... è un po' come se un ladro, invece di semplicemente dire "molla la borsetta" si mettesse a recitare tutto il piano malvagio che ha per conquistare il mondo partendo dai soldi recuperati dalla borsetta... per capirci), in altri serve per inquadrare bene il soggetto, oppure per far ridere o arrabbiare o comunque suscitare emozioni.

Inoltre c'è il discorso della caratterizzazione ed unicità del personaggio: chiunque in Giappone riconoscerebbe una citazione da Naruto (un manga/anime molto famoso) proprio per il modo unico che ha quel personaggio di parlare... ma una cosa è una citazione da un manga, un'altra è sentire un tizio allo sportello dell'ufficio postale che ti chiede di poter spedire una raccomanda... parlando come Naruto.

Il corrispettivo in italiano sarebbe di parlare come parlavano i Puffi: "mi scusi, potrebbe puffarmi questa puff-raccomandata?"

 

punto secondo: è vero, baka viene anche visto come una sorta di insulto amichevole.

Ma solo a Tokyo.

Cioè, capiamoci: non è che incontro uno al pub e gli do del baka perché è una bella cosa e lo farà felice.

Però, per esempio, se volessi raccontare a degli amici di una cosa che mia moglie ha combinato che in italiano potremmo definire "un po' scema e divertente", allora potrei definire mia moglie baka senza temere il divorzio successivo a mazz'ora di schiaffoni.

Diciamo che è un po' quello "scemo" detto in amicizia e affetto tra amici.

Ma deve essere comunque sensato: buttare un baka mentre si chiacchiera è semplicemente un insulto (e nei mondi dei manga/anime magari nessuno se ne risente, ma nella vita reale decisamente si), mentre utilizzarlo appunto nel contesto per condire e colorire un racconto, allora è accettabile.

Ma, come anticipato, solo a Tokyo.

 

A Osaka se dai a qualcuno del baka, questi se ne risentirà parecchio (e no, non gliene frega nulla che magari sei di Tokyo).

La parola baka suona fredda, robotica nella variopinta chiacchierata della regione del Kansai, per cui stona... se decidi di usarla è perché vuoi proprio usarla, secondo gli osakesi, quindi hai un intento seriamente offensivo, sei proprio concentrato sul significato, visto che a livello di suono non è gradevole.

E quindi, al posto di baka, per scherzare, si usa aho.

 

Che però risulta volgare a Tokyo.

Quindi se vuoi dire baka a qualcuno a Tokyo non devi usare aho.

Mai.

 

E quindi è questo: parole concrete, parole reali, parole che la gente usa tutti i giorni (molto più di "parole bellissime" che non ho mai sentito pronunciare ad anima viva).

Mentre noi si sogna su Facebook su quanto sia profondo il significato dei suoni e dei colori, qui, in Giappone, nelle strade delle città giapponesi, si litiga su come dire "scemo" alla gente.