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E gli anni della sfortuna

Quando avevo 39 anni mi capitava di sentire amici che mi dicevano cose del tipo “eh, hai da star attento: dal prossimo anno iniziano i Yakudoshi”.

Capivo la parola, il possibile significato, ma, non avendo mai creduto e quindi seguito cose come oroscopi e affini, non riuscivo bene a capire il perché di tutta questa importanza che gli veniva attribuita.

I miei amici sembravano seriamente preoccupati e, man mano che i giorni passavano, alla fine, è arrivato il giorno del mio compleanno (che cade di 21 Marzo, giusto per informazione): nessun regalo sfuggì dall'essere un Omamori, quest’anno. 

Che poi, intendiamoci, mi piacciono anche, i talismani, però...

La parola composta Yakudoshi si ottiene tramite i kanji 厄年 che, rispettivamente, indicano “calamità, atto sfortunato” e “anno”: il significato, quindi, è semplicemente comprensibile e ricavabile quale “anno della sfortuna”.

In realtà, non avendo la lingua giapponese un sistema grammaticale che distingua il singolare dal plurale, può andare ad indicare un singolo anno come anche una pluralità: difatti, il lasso di tempo sfortunato è di 3 anni.

 

Quindi con Yakudoshi indichiamo sia l’intero periodo che ogni singolo anno.

C’è da dire che, in realtà, ad esser precisi, ogni singolo anno avrebbe anche un suo nome proprio, un po’ meno utilizzato: il primo anno vien chiamato Maeyaku mentre il terzo si chiama Atoyaku.

Mentre yaku indica sempre la sfortuna, mae e ato significano rispettivamente “prima” e “dopo”, il che ci lascia facilmente intuire come il fulcro di tutta questa sfortuna si concretizzi nell’anno centrale.

 

Ma quando piovono questi eventi sciagurati?

I Yakudoshi sono ben fissati nell’arco vitale umano, valgono per tutti e si differenziano solamente tra uomo e donna.

Tenendo sempre da conto che la tradizione giapponese è, in realtà, una summa di singole tradizioni locali (ne abbiam già parlato tanto nei vari articoli inerenti la religione qui sul blog e ho approfondito l’argomento nel mio saggio “Lo Shintoismo: Onorare i Kami”), vengono genericamente considerati Yakudoshi i seguenti anni:

19 anni (donne)

25 anni (uomini)

33 anni (donne)

37 anni (donne)

42 anni (uomini)

61 anni (uomini)

e tra questi, quelli considerati di maggior potenza sfighesca sono quelli che cadono a 33 anni (donne) e 42 anni (uomini) e si chiamano Taiyaku (dove il tai sta per “grande”).

 

Ora, il lettore attento avrà notato che c’è qualcosa che non quadra tra questo articolo e la mia personale introduzione: in che modo io, maschio, ho iniziato a ricevere le attenzioni della sfortuna mentre mi avvicinavo al mio 40° compleanno?

Perché stiam parlando di un’antica tradizione giapponese, antica abbastanza da utilizzare il sistema di conteggio tradizionale per quanto riguarda l’età... sistema che, tecnicamente, viene utilizzato ancor oggi ma quasi esclusivamente a riguardo di questo genere di topic, legati all'intima tradizione giapponese, mentre nella quotidianità si utilizza quello internazionale.

Ma in cosa consiste, quindi, questo sistema tradizionale?

In realtà è molto semplice: una persona appena nata viene al mondo iniziando il suo primo anno di vita, indi per cui si conteggia già nel suo “anno 1”.

Al primo Capodanno (oggi si usa quello internazionale del 1 Gennaio), il soggetto entra nel secondo anno e così via, avanzando ad ogni Capodanno.

La data del Compleanno, quindi, non modifica in alcun modo il conteggio dell’età dell’individuo, bensì rimane esclusivamente come data importante, a memoria del momento esatto della nascita.

Questo, quindi, significa che io, nato il 21 Marzo, mentre in Italia mi si considerava un uomo di 38 anni fino al 20 Marzo e di 39 anni dal 21 Marzo in poi, in Giappone, tecnicamente, dal 1 Gennaio 2019 son diventato 41enne.

E sono entrato nel Maeyaku.

 

Le origini, come spesso accade per queste tradizioni così antiche e radicate, non sono per nulla certe: l’ipotesi più accreditata è che si tratti di una tradizione nata in ere molto, molto antiche e che si trattasse di qualcosa di legato ai vari cicli e passaggi di età che avevano a che fare col mondo rurale e contadino.

È, inoltre, molto probabile che questa tradizione sia stata In seguito “ufficializzata” e il calendario, quindi, fissato, una volta entrata in contatto con l’Onmyōdō.

Sulla scelta dei numeri, come già in tanti altri casi (alcuni dei quali sempre inerenti la sfortuna) risulta molto probabile che abbia giocato un ruolo da protagonista la pronuncia: possiamo fare alcuni esempi con i numeri 33 e 42.

Il numero 33 (letto di base sanjūsan), composto quindi da 3 e 3, si può leggere san (3) san ma sarebbe anche corretto e comune che divenisse san zan: con lo stesso suono, ma scritto con kanji differenti, tuttavia, si possono ottenere due parole, ovvero “problematicità” e (ancora kanji differenti ma stessa pronuncia) “nascita difficoltosa”.

Stessa cosa vale per il numero 42, composto da 4, ovvero shi, e 2, ni: con questi suoni (sempre anche qui kanji differenti, ovviamente) si può dire “a morte” o “verso la morte”.

 

E cosa fare, quindi, una volta entrati in questo periodo sfortunato?

Una vera soluzione, in realtà, non c’è: si può solo tentare di attenuare la cattiva sorte.

Evitare eventi importanti se possibile e proteggersi attraverso la Fede: amuleti, cerimonie, preghiere e pellegrinaggi.

I vari Omamori, gli amuleti dalle varie proprietà, in questo periodo divengono un must, soprattutto quelli che proteggono dal male e dalla sfortuna.

Visitare spesso i Santuari Shintoisti (alcuni optano per i Templi Buddhisti e molti, per non scontentare nessuno, visitano direttamente entrambi) e pregare, magari anche lasciando una tavoletta votiva, indubbiamente aiuta ma per chi sente il bisogno di una protezione di maggior efficacia può richiedere delle speciali cerimonie (ho provato a chiedere se esiste anche una “versione” Buddhista ma mi è parso di capire che sia un’esclusiva Shinto)... ovviamente è richiesta una donazione e quindi non è certo qualcosa che fanno tutti.

Per chi, invece, sente proprio il bisogno di una cerimonia specifica ma non se la sente di investire particolarmente in questo, può sia appellarsi a speciali Omamori specifici oppure, recandosi il 18 e/o 19 Gennaio presso un qualsiasi Santuario della “scuola” Hachimangu, può usufruire gratuitamente di una cerimonia collettiva ad hoc (quest’ultima, tra l’altro, di cui ho solo letto purtroppo, deve essere anche molto interessante ed affascinante in quanto tutta basata sul concetto di purificazione ed esorcismo tramite lavaggi).

 

E, per adesso, questo è quanto riguardo i Yakudoshi, mentre, per sapere come mi saranno andati a finire... non ti resta che seguirmi per i prossimi 2 anni.

 

Tutto questo può sembrare un curioso aspetto minore, secondario del Giappone, magari legato a realtà più rurali, oppure ad uno stile di vita di anziani o persone non molto acculturate... e sarebbe un grosso errore pensare ciò poiché, in realtà, abbiam parlato di una tradizione ben viva e sentita in Giappone, sia in tutte le fasce di età che estrazioni sociali!

Adesso che li conosco per personale esperienza, riconosco in metro come nei ristoranti, tutti quegli amuleti appesi a borse o che sbucano da giacche e davvero non sembra esistere un “limite sociale” per i credenti: uomini d’affari, dottori, sofisticati abitanti di Tokyo ed eccentrici strambi tipi di Osaka... tutti sembrano in qualche modo crederci e vivere questa tradizione.

Ovviamente “tutti” è un modo di dire: su 140 milioni di popolazione giapponese ci sarà chi ci crede, chi non ci crede, chi nemmeno la conosce e chi invece si è fatto giorni di pellegrinaggio purificatore... ma quel che è certo è che, comunque, a livello di popolazione generale è un dato di fatto facilmente osservabile, se ci si immerge bene nell'intimo del tessuto sociale locale, come sia davvero qualcosa di diffuso a livello capillare.

E forse, tutto ciò, è anche tutto sommato una bella cosa.