· 

Vedo tante piccole differenze...

Spesso si dice che è nelle piccole cose, nei dettagli quotidiani, che si può vedere molto.
Purtroppo a volte siamo fin troppo rapiti dalle fughe rocambolesche che la vita ci impone: corri al lavoro, corri a far la spesa prima che chiuda, non perdere il bus altrimenti fai tardi, vai all'appuntamento di corsa perché altrimenti fai tardi...

Ci lanciamo in giro e finiamo per rimbalzare come palline impazzite, con il mondo, come sfondo, che scorre così veloce attorno a noi da non esser capaci di vederne che contorni sfocati.
Poi, all'improvviso, ti ritrovi davanti un qualcosa di così enorme, così mastodontico, così brillante... e catalizza la tua attenzione.
Sono monumenti, scene, atti o persone.
Sono istanti eccezionali e per questo si mettono a fuoco, forzatamente e prepotentemente.

E' giusto anche questo... ma quanto ci stiamo perdendo in quanto ad attimi magici ma ben più modesti nel mostrarsi?

 

 

 

 

E' mattina presto ma fuori dalla finestra la luce del sole già preme sulle tende da qualche ora.

In Giappone l'alba sembra esser sempre capace di precederti, non importa a che ora tu ti svegli.

Un motivo più che valido per far sì che il nome "Paese del Sol Levante" sia ben meritato.

Io sono obbligato a svegliarmi a quest'ora, lavarmi e vestirmi, prendere la mia borsa e andare... il lavoro mi chiama.

Ma mia moglie potrebbe starsene a letto, come le consiglio tutte le volte, e invece no:

si sveglia con me, si alza con me e rimane al mio fianco ad assistermi fino a quando non varco la porta di casa, che lei, rigorosamente, tiene aperta per salutarmi dall'uscio.

Ma torniamo un attimo indietro: non sono ancora uscito di casa...

 

Sto facendo colazione, una fetta di MelonPan e un bicchiere di latte caldo e mia moglie è in bagno a truccarsi.

La osservo.

Quella base che le schiarisce la già di per sé chiara pelle, rendendola sempre più tendente al bianco... e più l'avvenimento a cui parteciperà è importante e più bianco sarà.

Non usa il rossetto ma colora le labbra con una sorta di smalto, rosso ma non acceso, bensì un qualcosa che mi fa pensare ai colori pastello.

Sono trucchi comuni, semplici, eppure com'è tutto molto diverso: i movimenti, i dettagli degli oggetti, lo scopo e il metodo.

Frutto di una cultura millenaria, eredità di eredità.

 

Sono entrato un attimo al conbini, voglio comprare le sigarette e una penna nuova.

Giusto per sicurezza, visto che la mia è da un po' che la uso e non vorrei mi desse problemi proprio quando ne ho bisogno.

Oggi non sono in ritardo (bizzarramente) per cui posso prendermela abbastanza comoda da poter rischiare di esserlo.

Entro e il commesso mi da il benvenuto, mi dirigo tra gli scaffali e incrocio altri due commessi che mi danno altrettanti benvenuto, e così a me e così a tutti gli altri clienti che entrano ed escono.

Compro quello che mi serve e mi dirigo alla cassa.

Il giovane commesso ha tre orecchini per orecchio e uno di questi ha pure un piccolo dilatatore, porta numerose catenelle nei pantaloni, invisibili a causa della divisa ma ben udibili, e i capelli lunghi fino alle spalle.

Sorride e mi ringrazia per gli acquisti che sto per fare e, mentre parla, noto che ha il piercing sulla lingua.

Passa allo scanner i vari prodotti, mi chiede gentilmente di premere il tasto di conferma, sul monitor, per la maggiore età, per le sigarette, e, intanto che io rimetto a posto il portafogli, mi inizia ad imbustare la merce, chiedendomi se preferisco che mi "insalami" la penna, giusto per evitare che possa sporcare aprendosi per errore, e se preferisco le sigarette assieme al resto o se voglio buste separate (non ho mai capito il perché di questo, ma lo chiedono sempre).

Gentile, premuroso.

Molti dicono che è una gentilezza falsa, che in realtà sono tutti sorrisi forzati.

Io non ne sono tanto sicuro, visto che, quando ho lavorato come cameriere, una delle prime cose che mi dissero (e che mi ripeterono più e più volte) era che dovevo essere felice e sorridente:

non mi dicevano che dovevo "sembrare" ma "essere".

Due verbi molto diversi.

Il ragazzo mi ringrazia ancora per gli acquisti e mi raccomanda di far attenzione per strada, salutandomi.

Non iniziassi ad aver fretta ci avrei provato a far amicizia.

 

L'autobus si ferma ad un semaforo che è appena diventato rosso.

Sono seduto in una posizione leggermente rialzata, di quelle verso il fondo del bus, accanto al finestrino e guardo fuori.

Vedo un piccolo Santuario Shintoista, circondato da anonimi palazzi grigi e squadrati.

E' piccolo e si nota soltanto per la presenza del Torii, il portale che incorona l'ingresso della via sacra.

Nel cortile vedo numerose piante in vaso e almeno un albero.

La gente passa, a piedi o in bicicletta, e non lo degna di uno sguardo: siamo tutti impegnati, tutti di corsa e, tutto sommato, è solo un piccolo, anonimo, semplice Santuario in una città che ne ha migliaia all'interno di una nazione che ne ha centinaia di migliaia.

Lo ammetto: l'ho notato solo perché ero voltato nella sua direzione e il bus si è fermato.

Ma ora il bus riparte e saluto il Santuario con un ultimo sguardo:

sembrava deserto ma in realtà c'è un signore nel giardino.

Veste i panni del Sacerdote e, con una scopa di saggina, sta spazzando bene.

Toglie le foglie cadute, pulisce da eventuali petali appassiti.

Rende tutto puro, immacolato e pulito.

Per nessuno, poiché non c'è nessuno.

Ma, a volte, le cose non vanno fatte perché qualcuno ne abbia a beneficio.

A volte vanno fatte perché vanno fatte.

 

Sono arrivato.

La prossima fermata è la mia.

L'autista l'ha già annunciata, come per tutte le altre fermate e altre infinite cose.

Quando sono salito sul bus, l'autista stava ringraziando, uno per uno, coloro che ne stavano scendendo.

Prima di partire ha avvisato che avrebbe chiuso la porta.

Quindi ha avvisato che sarebbe partito, raccomando di fare attenzione.

Mi ha reso noto, a me come a tutti gli altri passeggeri, di ogni singola curva che si apprestava a fare, di quando rallentava o ripartiva, illustrandoci ogni singola fermata.

Una vocina registrata, una giovane ragazza allegra, ha approfondito di informazioni su ciò che si poteva trovare nei dintorni, ogni singola fermata.

E così ora tocca a me.

Arrivo e uso la mia tessera magnetica, una comoda carta ricaricabile.

L'autista mi ringrazia e io gli rispondo con un cenno del capo e un sorriso.

Temo non lo faccia quasi più nessuno, forse solo alcuni anziani, e questo, purtroppo, è molto triste.

 

E giunge il tramonto e, con esso, la conclusione di un'altra giornata di lavoro.

Non sono stanco per cui mi godo il rientro a casa, senza fretta...

mi guardo attorno e percepisco l'immobilità, quella calma che precede la tempesta tipica di un momento di transizione ben inserito nella routine.

A volte mi pare di vivere in due Paesi distinti, con enormi differenze:

il Giappone del giorno

il Giappone della notte

L'ordinata, pulita, silenziosa città del giorno lascia spazio al caleidoscopio di luci al neon, un puzzle senza senso di persone che sciamano ovunque, ridendo e scherzando, ma soprattutto odori e sapori che si mescolano nell'aria.

I ristoranti si riempiono, i pub richiamano al divertimento.

E' il momento di lavar via tutte le fatiche di oggi e di ricaricarsi per le fatiche di domani... un domani che non è ancora arrivato, per cui godiamoci il momento.

I giovani si radunano per divertirsi, dopo una giornata di studio o shopping.

I lavoratori, ancora con le loro giacche, perfette e come appena stirate, sollevano boccali di birra e ovunque risuona il click della fotocamera del cellulare e il coro del kanpai (brindisi).

Come fanno ad essere sempre in ordine, i kayshain (impiegati)?

Io non sono in giacca e cravatta ma sembro comunque uscito da una battaglia all'ultimo sangue contro un orso: spettinato, vestiti un po' stropicciati, scarpe non più lucide.

Ho perfino sudato.

Loro sono perfetti, sembrano usciti in questo istante da casa, dopo aver preso i vestiti dal cassetto.

La mia unica consolazione è che, tra poco, saranno tutti ridotti ad uno straccio per il troppo bere mentre io potrò vantare ancora uno stato di sobrietà.

 

Arrivo a casa, ma non è finita.

Durante il tragitto i miei colleghi mi hanno già informato sul luogo scelto per bere qualcosa in compagnia.

Loro non lo fanno mai ma io porto con me sempre anche mia moglie (posto che voglia venire e non abbia altro da fare).

Così appena varco la soglia di casa lei mi ha già fatto trovare le ciabatte pronte sull'uscio e mi accoglie con un "okaeri, otsukaresama" (bentornato e una parola difficile da tradurre... la si usa a conclusione di un lavoro o di un qualcosa di impegnativo per salutare, ringraziare, complimentarsi e tutto un insieme di cose... in genere si dice e basta) al quale io rispondo con un "tadaima".

Sul letto i vestiti nuovi già mi attendono e a volte mi chiedo come faccia mia moglie sempre a capire esattamente cosa avrei voluto indossare, quali combinazioni (nel mio caso in realtà non è troppo difficile, visto che vesto solo di nero...) e quali accessori...

Le ho detto mille volte di non prendersi questo disturbo, ma in effetti posso anche capire che, magari, dopo una giornata da casalinga abbia bisogno di avere dei "doveri", per ammazzare i momenti morti.

Lei è già pronta.

Lei era già pronta questa mattina, quando io uscivo di casa.

E allora usciamo, mano nella mano, per andare a bere qualcosa con i colleghi.

Una bevuta veloce, visto che loro saranno ubriachi in breve tempo e, quindi, non ci sarà più quella "necessità" della mia presenza.

Allora passeremo da uno dei miei pub preferiti, saluteremo gli amici, berremo un po' qui e un po' là, ci verrà un languorino e quindi ceneremo tardi da qualche parte, magari un buon ramen caldo.

La notte fa parte della giornata, va vissuta.

Almeno in parte.

 

Ora sono appena rientrato e attendo di andare a dormire, mentre mia moglie si strucca e si prepara.

Io butto giù una prima traccia di questo articolo e domani, in treno verso Osaka, la rileggerò e correggerò.

Ma ora... beh, ora è tempo di dormire.