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Gli Dei, l'Imperatore e il Cliente

"Il cliente ha sempre ragione" diciamo in Italia, ma la maggior parte delle volte, costretti a trattare con i clienti (e non sono poche le volte che ne capitano pure di maleducati) l'unica cosa che vorremmo è che si levassero il prima possibile dai piedi... magari dopo una congrua spesa.

 

In lingua italiana usiamo degli appellativi per esprimere un certo rispetto e identificare la persone con cui (o di cui) stiamo parlando, a seconda della sua importanza o ruolo: signore, signora, signorina, sua eccellenza, sua santità, eminenza, ecc ecc...


Cosa centrano questi due temi in un unico articolo?

Continua a leggere e lo scoprirai!

 

 

 

 

Nella lingua giapponese si usano dei "suffissi" per indicare una forma di rispetto e/o vicinanza riguardo sia l'interlocutore sia il soggetto di cui si sta parlando.

Alcuni sono diventati famosi tramite i manga e gli anime, come nel caso di -chan (una forma che si utilizza in genere per gli animali, i bambini o le ragazzine).

Altri sono:

-kun è l'equivalente di -chan ma viene usato prevalentemente per indicare ragazzi giovani

-san è il più utilizzato ed equivale a "signore, signora, signorina"

-sama è altamente onorifico e viene utilizzato prevalentemente in tre casi, ovvero quando si parla di Divinità, quando si parla dell'Imperatore e... quando si parla del cliente.

 

Si, il cliente (in giapponese お客様, o-kyaku-sama) viene considerato, quindi, meritevole di rispetto al pari di una Divinità e dell'Imperatore... certo, nel caso fossero presenti tutti e tre difficilmente si mostrerebbe la stessa deferenza, ma il concetto è comunque questo.

 

In Giappone un commesso deve, sempre e comunque, mostrare rispetto verso il cliente, tentare di accontentarlo nel migliore dei modi e fare in modo che questi esca dal negozio più che mai soddisfatto.

Questo vuol dire impegnarsi nelle sue richieste, cercare di fornirgli il miglior prodotto/servizio possibile... insomma farsi in quattro e alla svelta.

 

Ti voglio raccontare alcune mie piccole esperienze, esperienze a cui oggi mi accorgo di non fare più caso, ma che i primi tempi mi avevano sempre lasciato sconvolto...

 

 

  • Nel negozio di vestiti

Mi trovavo ad Harajuku, il quartiere della moda giovane e alternativa di Tokyo, intenzionato a comprare qualcosa di bello.

Sono entrato così in uno dei tanti negozietti per curiosare: questo negozio si trovava nel piano seminterrato di un basso palazzo, accessibile tramite una piccola scala che era tutto fuorché comoda.

Appena entrato una commessa mi si è accostata, in silenzio, salutandomi e chiedendomi se poteva essere d'aiuto... il tutto in giapponese, ovviamente.

Due cose ho notato immediatamente: la prima è che, vedendo che non ero giapponese, appena ha potuto "sganciarsi" da me, è andata correndo a chiamare un suo collega che parlava inglese (ora, io non sono certo un madrelingua, ma il commesso era davvero pessimo in inglese... ma cerchiamo di ammirare comunque lo sforzo), mentre la seconda è che nonostante mi abbia ronzato per tutto il tempo attorno, non è mai stata comunque invadente.

In Italia mi è capitato spesso di trovarmi in due situazioni: o i commessi non mi si filavano neppure per errore (che se ne avevo bisogno dovevo cercarli e magari ci mettevo una mareata di tempo prima di trovarne uno... e magari anche dopo averlo trovato non ottenevo altro che un"si, scusi, attenda un attimo".... e poi non si faceva più rivedere) oppure erano di un opprimente unico, tanto da spingermi ad uscire il prima possibile dal negozio pur di non doverli più sopportare (qualcuno ha detto "Intimissimi" o "Calzedonia"? No, davvero, perchè già non mi sentivo proprio nel mio ambiente naturale, volevo fare giusto un regalo... ma la commessa a prescindere da cosa guardavo tentava di appiopparmi qualsiasi altra cosa possibile che ritenesse "in coordinato", compresa oramai la saracinesca del negozio stesso!).

In Giappone invece i commessi si preoccupano di stare al loro posto, sempre vigili e pronti ad intervenire in caso di bisogno, ma senza starti addosso... e non è cosa da poco!

Quando, alla fine, ho comprato ciò che mi piaceva, il commesso che mi aveva aiutato, visto che le scale erano, come già descritto, tutto fuorché comode, non mi ha accompagnato con la busta fino all'ingresso (cosa che spesso fanno) ma si è fatto tutte le scale, per evitarmi l'impiccio della merce durante la salita, consegnandomi i miei acquisti subito dopo.

  • Nel negozio di prodotti di telefonia

Ero appena arrivato in Giappone e avevo bisogno di farmi un telefono giapponese (sia per mera sopravvivenza che comunque per poter cercare un lavoro), così mi recai presso un punto vendita di una delle più famose compagnie telefoniche giapponesi.

Era un punto vendita modesto e non avevano nessuno nello staff che parlasse altre lingue che non fossero il giapponese stretto ma si sforzarono di farmi capire questo problema e di indicarmi un altro punto vendita dove si trovava qualcuno in grado di comunicare con stranieri.

Non solo, quindi telefonarono in tale punto vendita per avvertire del mio imminente arrivo e chiesero se, in quel momento e fino a che ora, si trovasse uno o più membri dello staff in grado di parlare in inglese... e meno male, perché se non lo avessero fatto avrei fatto un viaggio a vuoto, visto che in quel momento non c'era nessuno in grado di aiutarmi.

Mi fissarono "un appuntamento" per il giorno dopo, per cui andai e trovai quel che cercavo.

  • Nel conbini

Questa esperienza può sembrare una stupidaggine, però a me è rimasta impressa.

Semplicemente stavo pagando alla cassa ma la commessa, al momento di darmi il resto, fece cadere una monetina...

ora, non è che questa fosse una moneta da 500 e quindi un "discreto" valore, ma era una semplice monetina da 10... e invece di finire posizionata nella mia mano era semplicemente caduta sul bancone e da qui in terra, accanto a me, comodamente e tranquillamente recuperabile...

no, disgrazia, sciagura e disonore sulla commessa, sulla sua famiglia e sulla sua mucca (cit.)!

Il viso mostrò qualcosa di simile alla disperazione, si inchinò qualcosa come 64 volte e chiese costantemente scusa nella più mortificata e onorifica forma possibile.

Inutile dire che ripetei 63 volte che non c'erano problemi e che era tutto ok, alla fine dovetti desistere, accettare le sue più sentite scuse e andarmene prima di finire annegato tra le sue lacrime.

Per 10 yen caduti.

  • In un grande magazzino

Questa è recente.

Ero andato a comprare il computer nuovo e, visto che io di tecnologia non ci capisco nulla, quando il commesso mi si è materializzato accanto (qualcosa dopo circa 9 decimi di secondo dopo il mio arrivo) ho ben accettato il suo aiuto.

Non ha tentato di vendermi un elicottero, uno scolapasta e quattro televisori, ma anzi mi è stato davvero utile: ha ascoltato le mie richieste (strutturalmente, non capendoci io nulla di dati tecnici, gli ho solamente elencato le cose che volevo che il computer facesse e gli ho chiesto che le facesse alla svelta e bene) e mi ha messo di fronte alle possibili opzioni, elencandomi in maniera molto semplice (leggasi: per deficienti) i pro e i contro di ognuna di queste, con tanto di eventuali campagne promozionali e buoni sconto.

Oggettivamente, se mi ha dato un bidone o se ho fatto l'affare della mia vita, io, questo, non ho modo di saperlo... il computer funziona, fa quello che mi serviva facesse, lo fa bene e non mi da alcun problema, ho speso una cifra che non mi ha creato problemi spendere... per cui mi sento soddisfatto.

Ma la cosa "divertente" arriva subito:

la mia scelta, infine, cadde sul computer che attualmente possiedo (che, poverino, per altro sta a casa a prender polvere....) e anche il commesso si dimostrò d'accordo con la mia scelta ma... purtroppo quel dato modello, scoprì in pochi istanti di consultazione presso la cassa, non era presente al momento in magazzino.

Gli dissi che non era un problema, non avevo fretta: la mia idea era di ordinarlo e poi tornare a prenderlo.

No, troppo semplice.

Scuse e ancora scuse per la perdita di tempo e il contrattempo dopo, il commesso si mise al telefono per scoprire in quanto me lo potevano consegnare e, giusto che oramai era lì che si stava spezzando la schiena e correndo come un matto da un capo all'altro del grande magazzino, si premurò di chiedere se, presso un'altra sede più o meno vicina, ne avessero ancora.

Si scoprì così che nella sede di Osaka (56km di distanza) ne avevano... per cui, il gentile commesso, mi fece compilare la richiesta come avevo pensato e, per scusarsi (a nome del negozio) dell'increcioso inconveniente (???), mi appioppò a gratis le spese di spedizione del computer...

ringraziai e me ne tornai, con calma, a casa... se non che, un paio di ore dopo, ricevetti la telefonata da parte del commesso che mi rendeva noto che aveva recuperato il computer (cioè, questo folle si era lanciato in automobile da Kyoto fino ad Osaka per andare a prendere il computer ed era già ritornato in sede) e che la consegna poteva essere effettuata anche immediatamente.

Accettai... e ringraziai per il servizio.

  • In un altro grande magazzino

 

Sempre parlando di commessi che, in un impeto di zelo, lasciano tutto e fuggono via per aiutare il cliente, ti racconto solo un'ultima storia (no, è l'ultima che racconto in questo articolo, ma ne avrei tante da riempire un'enciclopedia):

parliamo del quartiere di Tokyo noto come Ikebukuro.

Qui si trova il J-World, un piccolo parco a tema (tanto piccolo da stare all'interno di un piano di un palazzo, ma comunque molto carino e divertente) tutto dedicato ai manga della famosa casa editrice Jump (infatti la J sta proprio per Jump) nonché il più famoso Pokemon Center.

Per l'esattezza questi si trovano all'interno di un edificio di nome Sunshine City.

Peccato che a Ikebukuro ci siano due edifici con questo nome!

Morale della favola, essendo la prima volta che ci andavo, ovviamente sbaglio bersaglio e mi ritrovo a vagabondare in un centro commerciale che sembrava la versione giapponese dell'Ikea.

Sapevo che il J-World era all'interno di un edificio, per cui mi ero messo a setacciare piano per piano... alla lunga non trovando nulla che ci assomigliasse, decido di chiedere ad un commesso.

Panico e scompiglio.

Alla quarta volta che gli ripeto che parlo giapponese, il commesso, comunque terrorizzato dal potermi indirizzare male (cosa anche un po' comprensibile, visto che, da dove mi trovavo, effettivamente non era subito facile facile la rotta da percorrere... ma nulla di inumano!) decide di levarsi il grembiulino e partire in quarta: mi porta fino al pianterreno (eravamo, mi pare, tipo al quarto o quinto piano...), fino all'ingresso, fino in strada... e poi si fa tutta la strada con me fino a portarmi a vista del posto che cercavo.

A quel punto se ne sarà tornato al suo posto di lavoro, penserai.

No.

Mi porta fino all'ingresso, entra con me, raggiunge un altro commesso locale e gli spiega la situazione... così finalmente, sapendomi in buone mani (questo commesso, ovviamente, per non dimostrarsi da meno, mi ha portato fino a dentro il Pokemon Center... non bastava dire a che piano era e indicarmi le scale mobili, no...) finalmente si è indirizzato (di corsa, ovviamente) verso il suo posto di lavoro.

E io non avevo neanche comprato nulla.

 

Qualcuno obietterà con frasi come "ah ma lo fanno perché sono costretti", "è tutta falsità la loro, in realtà odiano il loro lavoro e i clienti" (mi lascia sempre curiosamente basito la capacità di utilizzare la telepatia per sondare i pensieri altrui che alcuni hanno...) oppure, un classico, "ma anche in Giappone ci sono commessi maleducati e/o imbroglioni".

Ok, ho già sprecato i miei polpastrelli solo per scrivere questi commenti che lasciano il tempo che trovano...


Tuttavia, prima di concludere, rimanendo in tema di posti di lavoro, cliente e del concetto che il cliente è sacro, voglio farti sapere una cosa che, sono sicuro, ti lascerà a dir poco stupito (e che, il 99% degli italiani in Giappone non solo non ha mai capito, ma critica e teme, ben sapendo che li mette a rischio, a causa dell'innata pigrizia di cui siamo vittime).


In Giappone, riguardo al lavoro, è sempre il superiore ad avere ragione.

Ebbene si, il tuo capo può fare un po' quello che gli pare perché, in Giappone, il ruolo da anche potere e un superiore ha, effettivamente, controllo sui suoi dipendenti.

E questo vuol dire, in parole povere, che se il tuo capo ti vuol licenziare, così, di punto in bianco e da un giorno all'altro, può farlo e può farlo senza dover rendere conto a nessuno.

Questo è il perché dello "strafare" dei giapponesi sul posto di lavoro: in pratica sei sempre in fase di "scrutinio".

Hai trovato un posto di lavoro, per esempio, come insegnante in una scuola? Ottimo, però devi mantenerlo, dimostrando a chi ti ha assunto che sei valido come hai tentato di dimostrare in fase di colloquio e del periodo di prova.

Il modo di fare del "fino a che non firmo il contratto ci do dentro e poi mi rilasso, tanto sono intoccabile" in Giappone non funziona.

Va da sé che non è che un giorno il direttore d'azienda si sveglia nervoso, camminando per il corridoio della sezione ti incrocia e siccome hai la cravatta di un colore che non gli garba, allora ti licenzia: il direttore ha da portare a casa dei risultati e per farlo vuole dei sottoposti che gli portino tali risultati, altrimenti chi gli sta sopra potrebbe, allo stesso modo, mandarlo a casa.

Per cui in Giappone tutti si danno da fare non perché è il loro hobby e gli piace (poi, che ci sia anche gente a cui piace è un altro discorso), ma perché gli è richiesto: una frase che mi disse un caro amico, direttore di ristorante, è "noi non lavoriamo per arrivare a fine mese e prender lo stipendio, noi lavoriamo perché l'azienda raggiunga sempre l'eccellenza e lo stipendio rappresenta solo il ringraziamento di questa per i nostri sforzi. L'azienda non lavora per far accumulare soldi al presidente, ma perché il Paese raggiunga sempre l'eccellenza e il potere che ottiene rappresenta solo il ringraziamento di questo per gli sforzi di tutti i lavoratori. Se il Paese è al top, allora anche noi tutti saremo al top".

 

A pensarci bene, in effetti, il discorso fila e ha un suo senso... magari per noi italiani un po' complicato da afferrare, ma ha un suo perché.

Inoltre, tutto questo, mi ha fatto riflettere... ed ecco perché ho deciso di inserire questo ultimo discorso nell'articolo: il datore di lavoro, in Giappone, è, a tutti gli effetti, un cliente... egli paga qualcuno per ottenere un servizio che gli frutterà qualcosa, proprio come quando un comune cliente compra qualcosa.

E, in fin dei conti, a me esser trattato come una Divinità e/o un Imperatore, non disturba affatto.