E tra poco saranno 10 anni.
10 su 40 sono un numero di tutto rispetto, anche se, ovviamente, rappresentano solo una frazione tutto sommato minoritaria… ma devo dire che il carico di esperienze, così nuove, così fresche e, spesso, così aliene rispetto alla mia vita prima di approdare nel Paese del Sol Levante, fanno sì che questi 10 anni mi sembrino 100.
Positivamente, si intende.
10 anni di esperienze.
Di luoghi.
Di persone…
Sarà forse vero, come dicono nel film Wasabi che “il tempo, i ricordi… non li fa diventare belli?”, ma a me, forse scioccamente, pare davvero di aver accumulato quasi esclusivamente bei ricordi legati al Giappone: la scoperta di usanze che mi hanno affascinato, credenze religiose interessanti, folclore… e ancora posti così belli da avermi quasi commosso e persone, persone stupende.
Per questo mi da fortemente fastidio quando vedo/leggo storpiature su luoghi/cose che conosco, che ho visto e/o vissuto.
Ovviamente danno fastidio le storpiature “in negativo”, ma non di meno quelle che dipingono tutto di tratti pastello.
Significati di frasi che non significano ciò che vien riportato, etimologie di kanji che non hanno quelle radici, pensieri e filosofie dietro a parole o atti che non hanno quella profondità spirituale… mi da fastidio vedere un Giappone così bello, già di suo così naturalmente affascinante, ricco di tante cose da raccontare, interessanti ed esotiche… si, mi da fastidio quando viene trasformato in un quadro innaturale, assurdo, illogico.
Nel bene e nel male.
Il fatto è molto semplice: siamo troppi.
Detta così, capisco che suoni un pò… drastica.
Però, se vogliamo essere onesti, il problema è esattamente questo.
Nei business le cose funzionano così: se la domanda ha poche risposte, queste si accrescono in valore.
Ma se la risposta aumenta… ovviamente bisogna fare in modo che mantengano un certo valore, aggiungendo, in genere, qualcosa.
In alcuni casi, forse i più noti, si va di sconti: trovando su un piano un certo numero di prodotti desiderati, il cliente potrebbe esser direzionato verso quello più economico.
Ma quando il business riguarda le notizie, l’informazione o la divulgazione?
Beh, devo dire che sono assolutamente certo che una pluralità sia indispensabile: se l’informazione fosse veicolata da una sola voce, anche ammettendo l’improbabilità di una totale onestà di questa voce, basterebbe un errore di valutazione o, semplicemente, l’inconscio… e addio veridicità.
E per quanto riguarda l’informazione inerente al Giappone, in Italia, la situazione è drammaticamente questa… innegabile: un monopolio gestito in maniera più simile ad una campagna pubblicitaria politica che vera informazione.
Ed è male.
Forse è anche per questo che oramai molti, moltissimi si sono allontanati dall’informazione tradizionale, cercando rifugio in una forma più spontanea che è quella dialogale tra utenti in Internet: i blog, i socials, ecc...
Peccato che, anche questa, sia divenuta, oramai, un business.
E torniamo al problema iniziale: troppe risposte per poche domande.
E proprio parlando dei metodi per rendere più appetibile la propria risposta… c’è quello che consiste nell’abbellirla (poi, cosa si intenda per “abbellire” è, ovviamente, materia di dibattito: anche dipingere malissimo qualcosa è un modo per “abbellire la notizia”, per quanto possa sembrare assurdo).
Posso raccontarti quanto sia bello il Santuario tal dei tali… ma quanto diventa più affascinante se ci aggiungo episodi inesistenti, storie di fantasia appena create, significati filosofici affascinanti?
Una cosa è “qui si onora il Kami dell’acqua, un dragone che è sceso dal cielo, in risposta alle preghiere dei fedeli piagati da una siccità, e che ora fa sì che questo laghetto non sia mai asciutto” (parte reale del credo/folclore di un Tempio/Santuario qui a Kyoto), ma quanto è più affascinante “questo luogo di pace, di armonia, dove tutti siedono in silenzio e dove percepisci profumo di ortensie… qui è dove si onora un anziano spirito-dragone che discese dai cieli, avvolto da una pioggia che guarì la siccità che perdurava da mesi, giurando di proteggere i bambini (ci sta sempre mettere di mezzo i bambini) e coloro i cui pensieri sono puri”?
Bellissima la seconda versione, molto poetica… molto “orientale”, in quel senso un po’ mistico e un po’ misterioso… peccato che io me la sia appena inventata per “colorare” la prima versione che è quella già di per sé colorata dal folclore.
Ma la seconda vende meglio.
Ed è qui che tutto si focalizza: devo informare o devo vendere?
A volte, mentre scrivo, mi viene da chiedermi “ma tutto questo… interesserà davvero a qualcuno?”
Perché, beh, ok… io forse sono un caso un po’ particolare, vista la direzione di ciò che tratto (folclore in primis).
Ma, parlando in generale, mi chiedo se l’argomento e il modo in cui lo tratto… sarà interessante per gli altri?
La domanda, ovviamente, è senza una reale risposta utile: che sia o meno interessante, la cosa non cambia.
Può interessare l’usanza di posizionare volti di demoni scolpiti sui tetti delle case tradizionali, come dei Templi ecc, atti a spaventare ed allontanare i ladri.
Ma anche se non interessasse, io la racconterei comunque così com’è.
Certo, la bravura nella comunicazione fa la sua differenza, ma il punto è che io preferisco raccontare ciò che è, anche a costo di esser l’unico interessato a riguardo.
Ma cosa accade quando, magari nelle GiappoNews, mi ritrovo a trattare qualcosa di cui so veramente poco o nulla?
Quando la notizia del giorno riguarda il calcio (di cui davvero non so nulla!) o la finanza (di cui so poco e quel poco che so, temo di non averlo neppure capito) o la medicina?
C’è il rischio che io scriva qualcosa di inesatto.
Se va bene, me la cavo copiando alla meglio il testo, sperando di non stravolgerne il senso durante la traduzione e rielaborazione delle frasi.
Se va male… non posso che scusarmi ed assumermene la colpa in toto: l’ignoranza non è una scusante.
Per questo non ho mai fatto articoli, neppure qui sul blog, dove siamo più… rilassati, riguardo cose come le Pensioni o la Sanità: non ho conoscenze tali da poterne parlare.
Certo, in una chiacchierata da bar potrei raccontarti di quando sono andato in ospedale per il check annuale e cosa ho visto, cosa ho fatto, ecc
ma la discussione finisce qui, per me.
E se, invece, volessi monetizzare con la divulgazione ma non conoscessi l’argomento?
Beh, un rapido esame della TV Italiana mi porterebbe facilmente a capire che tra le metodologie più comunemente seguite (e quindi monetizzabili) c’è quella che punta allo sdegno del cliente: indignazione.
Prendi qualcosa di cui lamentarti (servizi? persone? “in Giappone l’amicizia non è come da noi”?), prendi qualche tematica delicata (gattini? “qualcuno pensi ai bambini”), buttaci dentro qualcosa di reale (una foto di una zona di Tokyo che tutti conoscono, una modella sconosciuta in Italia, una foto tragica tirata giù da google immagini) e poi… crea.
Sii crudo, sii rude (perché, si sa, se hai un linguaggio rude allora sei anche automaticamente onesto… mica come quelli che hanno studiato la grammatica italiana, che son tutti pagati dai Poteri Forti!) e butta giù quanto di negativo ti passa per la testa.
In parole povere: quando una cosa non la sai, puoi sempre inventarla… e se sei brav*, magari la vendi pure bene.
Come la storia di “i giapponesi non dicono la frase ti amo perché sono freddi” che nasce solo da una mancata conoscenza della lingua giapponese, un vago utilizzo sbagliato di vocabolari e via… un po’ di sano disprezzo da occidentale superiore e giusto.
Ma questo è solo un metodo.
Se non ti piace (in effetti, immagino che possa essere una pratica stancante, esser negativi ogni giorno… probabilmente una naturale insoddisfazione può aiutare, ma di base credo che non sia facile) c’è una via più semplice… un po’ più inflazionata (molto, in realtà) ma visto che non conosce limiti e che quindi si può osare ogni volta un po’ di più, nel tentativo di superare gli innumerevoli concorrenti, puoi sempre dedicarti al dipingere il Giappone con i pastelli.
Si, in pratica fai la stessa cosa di cui sopra, ma al posto di qualcosa di cui lamentarsi, ti inventi un’esperienza mistica o particolarmente soave, ci metti una tematica di tipo filosofico che tocchi magari meditazione e/o pace interiore.. ed è fatta.
Hai la tua notizia fresca e sicuramente allettante.
“Ma che male c’è”, potresti chiederti, “se, stando qui in Italia, mi volessi lasciar cullare da queste informazioni sbagliate?”
In realtà non ci sarebbe nessun male: oggi mi sveglio nervoso, rimango bloccato ad aspettare un treno che non passa mai, ritardi, file… accedo a youtube e vedo il video di una persona che si lamenta in Giappone i treni sono in orario ma che son pieni di molestatori.
In un certo qual modo… mi ripulisce: “allora non va tutto così male solo a me”.
Rinfrescante.
Gli anglofoni direbbero “misery loves company”: la disgrazia ama la compagnia.
Viceversa anche accedere ad un blog e leggere di una stazione per treni, in una tratta da sogno che collega località meravigliose, poco conosciute, alberi antichi e bellissimi, ciliegi in fiore, un mare cristallino ecc ecc… e insomma questa stazione che, una volta scesi… non ha uscite o altro, non porta da nessuna parte.
Perché è esattamente lì che bisognava andare: un luogo senza luogo, per ritrovare sé stessi.
Che bello, vero?
Peccato che di queste “stazioni magiche” ne esistano tantissime, alcune han la fortuna di avere un bel panorama, altre son semplicemente circondate da altri binari e mura: si chiamano “stazioni di sosta di emergenza” e servono, meno filosoficamente, non per trovare sé stessi, ma quando c’è un guasto, per, appunto, sostare e chiedere supporto.
Ma che male c’è nel credere che siano, invece, appunto, state costruire per parlare con i morti, per trovare sé stessi o quel che è?
In teoria, appunto, nessuno… ma…
Prima della Pandemia, e non dubito che presto o tardi si ricomincerà, il numero di italiani che arrivavano in Giappone tramite Permesso di Soggiorno di tipo Studentesco era veramente un numero degno di nota.
Qualcuno veniva esattamente per quello per cui il Permesso è votato: imparare/migliorare la propria conoscenza della lingua.
Ma parliamo di una minoranza.
Qualcuno veniva per una vacanza “alternativa”.
Ma, anche qui, parliamo di una minoranza.
Il grosso di questi viaggiatori era mosso da una speranza: trasferirsi in un Paese dei sogni.
Chi seguiva YouTubers, chi bloggers, chi, più semplicemente, accedeva a Facebook… così tanti arrivavano con un’idea distorta del Giappone.
E dopo qualche tempo li sentivi dire “ah, ma che peccato: non è come dice Tizio”.
E quasi tutti, alla fine del Permesso (alcuni perfino prima!), se ne tornavano in Italia delusi.
Qualcuno, però, teneva duro, superava la delusione… ma era arrivato davvero troppo impreparato per poter “sopravvivere”.
E quindi, di questi grandi numeri di sognatori, in pochissimi riuscivano nel loro intento.
E tralascerò, per questa volta, “le fasi dell’italiano in Giappone”: un qualcosa che esiste davvero, che tutti abbiam vissuto e sperimentato.
Ma ne parliamo un’altra volta.
Pensa alla tua delusione se, andando nel Tempio della pace e della purezza che ti è stato descritto, trovi poi un comune Tempio, che ti chiede un biglietto per entrare, con le vendite dei vari amuleti, tanti cartelli qui e là… senza nessuna magia, senza colori pastello ma con tanta reale, affascinante cultura che, però, ti è stata taciuta (e, forse, in realtà, neppure ti sarebbe interessata, se ti sei fermat* al “Tempio della Pace Magica”).
Pensa a quanto ci rimani male quando tenti di scendere alla “Stazione dove si Ritrova Sé Stessi” ma il treno non si ferma perché, appunto, è solo una stazione di servizio per le emergenze e non esiste nessuna storia magica… e tu ci hai speso ore, soldi ed energie.
Pensa a quanti soldi spesi con delusione, perché cercavi una cosa ma ne hai trovata un’altra.
Pensa a come si può stare male dopo aver superato tanti sacrifici per cercare qualcosa che non c’è, fallire in qualcosa perché si è stati ingannati…
Ma siamo nel business dell’informazione/divulgazione.
Questo è il Parco Giochi, queste le regole.
E tu, su qualche giostra vuoi salire?
“Ma quindi”, ti sarai chiest*, “come si risolve questo problema?”
Devo spiacevolmente ammettere di non averne idea.
Come ho già scritto, la pluralità è indispensabile, ma, allo stesso tempo, credo che andrebbe operata una scelta, riguardo a ciò in cui credere.
Qualcosa di ispirato dalla logica, dalla razionalità: quale può essere la conoscenza della vita nel Paese in una persona che lo visita 3 mesi l’anno rispetto a quella di chi ci vive, lavora, paga le tasse, ecc?
Quale può essere l’esperienza propria di chi vive in Italia ma parla di Giappone, magari perché lo ha studiato, ma comunque non lo vive?
Quanto può esserci di affidabile in una divulgazione effettuata con alle spalle un business inerente all’oggetto?
E, ancora, la persona, che trascorsi ha?
Quali sono i suoi studi (ufficiali o meno)?
Quanto incidono le sue passioni, credo o affiliazioni?
Non sono domande con risposte semplici… ma quel che è certo, a mio avviso, è che la persona saggia sa, di per sé, comprendere che quando un’informazione appare così “anomala” (in positivo come in negativo)… beh, forse è proprio perché è farlocca.