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Ti stai giapponesizzando

Mi sarà capitato oramai infinite volte: dire o fare qualcosa e sentirmi dire, da altri italiani, che mi sono "giapponesizzato".
A volte, poi, capita anche la versione più fatalistica: "ormai ti sei giapponesizzato".
Alcune volte sono riuscito a capire cosa ha fatto nascere queste affermazioni (non che mi senta di giustificarle, comunque): magari una volta, uscendo da un ristorante, vedendomi ringraziare con un leggero inchino verso il cameriere che ci accompagnava alla porta... allora "mi sono giapponesizzato".
Oppure semplicemente il mio chiudere gli occhi e cercare un momento di riposo mentre mi trovo in metropolitana, invece di chiacchierare come fino a prima di imbarcarmi... allora "mi sono giapponesizzato".

Altre volte semplicemente non ho capito cosa io abbia detto o fatto, o come lo abbia detto o fatto, per sembrare così "diverso".

Diverso da cosa, poi?

Diverso dal "vero italiano"?

Parliamone...

Potrei iniziare il tutto con una bella pappardella su come la nostra cultura si sia sempre basata, e sia cresciuta ed evoluta, sia creando ma anche (se non soprattutto) assorbendo dai vicini... e quindi una sfilza di esempi, dai numeri presi dal medio oriente, alle scienze prese nel nord dell'Africa, le religioni dei vicini fatte confluire in quella poi da noi adottata, ecc ecc

 

Ma non serve andar a scavare così a fondo: basta guardare alle nostre estati.

 

La battuta del comico Tal dei Tali, che ripetiamo e facciamo nostra, o uno stile nel vestire, un nuovo drink preferito o un'attività scoperta e apprezzata: la vita è influenzare.

A meno che io non sia un elemento la cui personalità è pari a quella di un manico di scopa, comunque influenzerò qualcuno: forse sarà il mio modo di parlare, una frase o un modo di dire che uso spesso, una battuta... ma la cosa più bella  che magari quella battuta che dico e che tanto piace, quella che magari, piano piano, diventa utilizzata anche da te e da altri... ecco, magari quella battuta io stesso l'ho assorbita da qualcun altro.

Influenzare e farsi influenzare.

No, non è segno di debolezza (e nemmeno una malattia).

 

Tutte le fasi della storia dove l'Italia (intesa come area geografica) è stata grande, sono sempre state tutte fasi in cui assorbivamo quel che di meglio c'era attorno a noi.

 

Allora perché oggi sembra quasi far paura?

La paura di perdere un foglio di carta, perché il Passaporto non è un titolo di onore al merito ma un mero foglio di carta.

 

Quando sono partito dalla mia natia Calabria e mi sono spostato a Roma, son giunto nella Capitale con dei modi di fare, di dire e di pensare.

Ho conosciuto nuove persone, ho osservato nuovi modi di fare, di dire e di pensare e questi mi hanno cambiato.

Tornato in Calabria, le mie vecchie conoscenze mi prendevano in giro: ero il polentone.

 

Ogni luogo che ho visitato mi ha cambiato, a volte in maniera più evidente, altre volte anche solo lasciando un ricordo di sé.

 

Ed è giusto così.

 

Aprire la mente ad altre culture e cambiare accogliendo da più punti di vista vuol dire evolversi.

 

Chiudersi a riccio in un modo di fare, credendo che questo isolarsi possa preservare il proprio sacro "essere italiano”, porta solo ed esclusivamente all'atto di sé stesso:  chiudersi a riccio.

 

Crescere vuol dire cambiare, vuol dire arricchirsi, lasciarsi influenzare dal meglio che ci circonda e imparare ogni giorno qualcosa.

 

Non stiamo tradendo niente e nessuno, men che meno le nostre "origini" o la nostra Madre Patria, imparando ciò che di buono c'è altrove e accogliendo questi nuovi insegnamenti dentro di noi, a volte così come sono, altre volte, invece, adattandoli... proprio come si fa con la cucina.

 

Allora non abbiate paura: lasciatevi influenzare da ciò che vi circonda.

 

Beh, in realtà, questa frase motivazionale da influencer fallito è un po' inutile: a meno che non ci si chiuda letteralmente in casa, schivando ogni possibile contatto con le persone attorno a noi, questa influenza ce la beccheremo, volenti o nolenti.

  • A furia di perdere amicizie perché arriviamo con un elegante ritardo, inizieremo ad esser puntuali.
  • A furia di non ottenere risposte ma solo sguardi imbarazzati mentre parliamo in metro, finiremo per capire che dobbiamo star zitti.
  • A furia di esser sempre l'unico a buttare la cartaccia dietro al distributore automatico di bevande... capiremo che è una cosa incivile, stupida (stiamo sporcando un posto in cui dobbiamo vivere!) e cafona... e impareremo a non farlo.

Capiterà.

 

Semplicemente capiterà.

 

E non deve far paura: stiamo crescendo.

 

In alcuni casi, forse, stiamo anche migliorando.

 

In altri, stiamo semplicemente vivendo.

Credo sia una domanda che avrò posto infinite volte, ovviamente provocatoria ma... cosa fa di un italiano, un italiano?

Parlare la lingua italiana?

Dire alcune specifiche parole?
Gesti e azioni legate (o volutamente slegate) a dei canoni che definiamo "educazione"?

Semplicemente l'orgoglioso possesso del passaporto che riporta la tranquillizzante dicitura "cittadino italiano"?
Mangiare la pasta?

Io non mi sento italiano... non mi "sento" perché io sono italiano, quindi non ho bisogno di sentirmi qualcosa che già sono.

E lo sono anche se non ciarlo in metropolitana, anche se magari preferisco un piatto giapponese ad uno italiano, lo sono e lo sarò anche se ringrazio con un inchino.
Anzi, lo sono proprio anche per tutte queste cose: sono ancora più italiano.