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Lavorando 23 ore al giorno

Mi è capitato un numero impressionante di volte di leggere/sentire, anche, o soprattutto, da parte di persone che amano (o affermano di amare) il Giappone che, sebbene adorino visitarlo in guisa di turisti, per periodo più o meno brevi, non avrebbero alcun desiderio di vivere in questo Paese per via di alcune differenze culturali che non si accordano minimamente con il proprio stile di vita.
Questa è un'opinione sacrosanta ed è perfettamente comprensibile e giustificabile, anzi, a mio modesto parere, è una posizione infinitamente più onesta (e meno nociva per la tranquillità altrui) di chi ha fatto di tutto per trasferirsi (perché, pensiamoci bene, puoi capitare "per caso" a farti una vita in Francia, Spagna, Svizzera e perfino Inghilterra, vista la vicinanza e semplicità con le quali queste Nazioni sono raggiungibili dall'Italia, senza contare che basta una conoscenza dignitosa della lingua inglese per poter comunicare... non può esser certo una casualità così ripetuta in così tanti, quella di "finire" proprio in Giappone) solo per poi non riuscire ad adattarsi (o non volerlo fare) e quindi dipingere il Paese ospitante come una sorta di inferno di cui, chi non ci vive (anche se lo visita svariate volte e per periodi prolungati di tempo), non può capirne le profondità del male.
Il fulcro di tutto questo discorso, nella stragrande maggioranza dei casi, riguarda i rapporti sociali (di cui ho già parlato in vari altri articoli, qui sul Blog) e/o il lavoro.
E, quando parlo di lavoro, intendo gli straordinari: insomma, "qui si lavora anche 23 ore al giorno".
Per cui oggi parliamo proprio di questo.

Torno da Odaiba.

Sono sulla monorotaia sopraelevata che attraversa una Tokyo notturna, tutta immersa in mille luci: auto sfreccianti, visto il poco traffico, insegne pubblicitarie, neon... ma soprattutto tante ma tantissime finestre di uffici.

Sono le 22 e c'è gente che qui ancora lavora.

 

È vero.
In Giappone gli orari di lavoro a volte sfuggono dal controllo umano razionale per diventare qualcosa di assurdo ma, come tento di ripetere oramai quotidianamente, prima di affrontare un qualsiasi discorso dobbiamo sempre fissarci nella mente che stiamo parlando di esseri umani e che, per quante differenze culturali possano esserci, non può esistere un insieme così elevato (parliamo di una popolazione doppia a quella italiana...) di imbecilli che agiscono in maniera insensata, senza criterio, assurda.
Vale per quando si parla di lavoro in Giappone, vale per quando si parla di rapporti sociali e soprattutto vale ogni volta che vien fuori l'ennesimo post sui social che riguarda le "stranezze giapponesi".

 

Tornando a noi.
Prima di tutto occorre fare una distinzione tra tipo di lavoro: sotto impiego e sotto proprietario.
Nel primo caso possiamo far ricadere tutte quelle professioni che lavorano seguendo un calendario, svolgendo una o più mansioni, con una gerarchia interna: l'esempio più classico è l'impiegato aziendale, oppure l'impiegato d'ufficio, ma anche l'operaio, il muratore... 
Nel secondo caso, invece, rientrano quelle professioni che sono sotto diretto seguito o di proprietà personale: commesso in un negozio (non grande magazzino), cameriere in un ristorante (non catena), libero professionista...

 

Parto dal secondo caso perché è una discussione più breve e "semplice": scordati di vedere grandi differenze con l'Italia.
Certamente è possibile che tu abbia, da contratto, 4 ore di servizio nel ristorante ma che ti ritrovi a farne 5, o anche 6, ma è un caso già più raro e si riconduce ad un concetto di cui parleremo a breve, ovvero alle mansioni da svolgere.
Ci saranno casi in cui il datore di lavoro sarà di manica larga (niente straordinari, quelli ritenuti necessari ben pagati, ferie e tutto il resto), o, per meglio dire, "giusta"... e ci saranno casi di datori di lavoro farabutti che si approfitteranno della situazione.
Sotto questo punto di vista, poi, puoi stare tranquillo: essere giapponesi, italiani o di qualsivoglia nazionalità non sarà il punto che fa la differenza nel datore di lavoro e ne troverai di onesti, corretti e "leggeri" giapponesi come stranieri, quanti ne troverai farabutti sia giapponesi che stranieri (italiani compresi...).

Tralascio l'ovvio saltando a pie' pari la situazione dei liberi professionisti perché va da sé...

 

Arriviamo quindi al nocciolo caldo della questione: gli orari di lavoro di chi è sotto impiego.
Prenderò in esempio l'impiegato aziendale ma è facile traslare le situazioni di cui parlo anche per altre categorie lavorative.
E va fatta anche una grossa precisazione: la situazione già cambia enormemente tra lavorare in un ufficio in una grossa città piuttosto che in un paesello, lavorare in una grossa compagnia solida piuttosto che in una piccola improvvisata, lavorare a Tokyo o altrove in Giappone (si, c'è poco da girarci attorno: è una differenza abissale che, invece, tra altre varie città, non si trova).

Ma buttiamoci più sul generico, prendiamo in esempio la vita a Nagoya (ad Osaka in genere è più tranquilla, a Tokyo moltiplica tutte le sfide x10) e tralascerò, ad esempio, le differenze tra uomo e donna nel mondo del lavoro perché le abbiam già discusse in un vecchio Articolo qui sul Blog.

Quindi la domanda è: è vero che fanno tanti straordinari, arrivando a morire di lavoro, lavorando anche x ore al giorno (dove poi ognuno mette un numero a caso, sempre più alto, al posto della x)?
La risposta è: ni.
Ci sono stati (e permangono tuttora) casi di persone che muoiono a causa di uno sfinimento fisico/mentale causato dal troppo lavoro? Si.
Sono la norma o un numero elevato? No.
Parliamo di dati, come sempre a me piace parlare: nel 2019 il numero totale dei suicidi in Giappone (tenendo conto che potrebbero, anzi, quasi sicuramente ve ne sono, suicidi non registrati come tali per vari motivi, magari ne discuteremo in un Articolo apposito... ma non è possibile estrapolare dati a riguardo per cui parlarne in questo specifico contesto non avrebbe alcun senso) è di 20.169 (in Russia, nello stesso anno, se ne registrarono più di 40.000, negli USA circa 45.000 e in Corea del Sud circa 25.000) di questi 1.949 sono legati al lavoro.
Parlando in parole povere su 140.000.000 di persone, nel 2019, ogni 7.000 persone 1 di queste sceglie la triste fine del suicidio, di queste 1 ogni 10 lo fa per cause legate al lavoro (specificatamente parlando, al troppo lavoro).

 

Quindi, sfatato il mito di una popolazione di imbecilli dediti al suicidio a causa del troppo lavoro, possiamo passare a parlare di lavoro vero e proprio.

Il concetto stesso del lavoro parte già di per sé da un punto di vista: l'idea del lavoratore è di sbrigare al meglio le proprie mansioni.
Il problema risiede nel fatto che "al meglio", nella stragrande maggioranza dei casi, significa "seguendo le istruzioni"... istruzioni nate magari decenni prima o, semplicemente, generate dal primo a svolgere tale mansione e poi "donate in eredità" a chi ne prendeva il posto.

In parole povere: non sempre l'idea di "svolgere al meglio il proprio lavoro" corrisponde realmente allo svolgerlo al meglio.
Ho visto impiegati in banca, in stazione, in vari uffici metterci davvero tanto tempo nello svolgere attività di vario tipo semplicemente perché seguivano una routine: la routine sicuramente è una buona partenza, ma in ogni singola azione serve una dose di adattamento.
Purtroppo, però, in Giappone vien vista bene solo la routine e non l'adattamento, per cui "improvvisare" qualcosa, al di là del risultato finale, è visto come un qualcosa da non fare...

 

E quindi vedi scene come la signorina all'ufficio prenotazioni biglietti in stazione che tenta di farti la prenotazione per un treno, seguendo una routine... però qualcosa non va e ricomincia da capo rifacendo esattamente allo stesso modo il procedimento, arrivando allo stesso intoppo e ricominciando... se tutto va bene prima o poi si schioderà e riusciremo ad andare avanti, altrimenti la faccenda potrà protrarsi davvero per le lunghe.
Una volta ha dovuto chiamare un collega/superiore che, in tutta risposta, ha riprovato comunque usando lo stesso metodo della collega in difficoltà, con, ovviamente, lo stesso esito.
E non sto scherzando.
È una cosa assurda o stupida?
No, semplicemente le è stato detto che la sua mansione è quella e lei si attiene a quello che le è stato detto.
È il modo "migliore".
Lo sa da sé che se facesse diversamente magari la cosa si sbloccherebbe, ma creerebbe caos nell'intricato e "perfetto" macchinario delle mansioni, di cui lei è solo un singolo ingranaggio.

Morale della favola?

Una prenotazione che avrebbe richiesto 10 minuti di lavoro, alla fine, ha richiesto 40 minuti.
Teniamolo a mente mentre balziamo in un altro esempio.

Grande ristorante, tavoli pieni, ora di pranzo e, tra lo staff, un nuovo giovane appena arrivato, al suo primo lavoro.
Dalle cucine arrivano i piatti e colui che dal "dietro le quinte" dirige i camerieri, assegna piatti a tavoli e camerieri a tavoli.
Il giovane ha da portare 3 piatti al tavolo 4: 3 belle porzioni di pasta calda ad un tavolo dove la stanno aspettando.
Il giovane guarda i 3 piatti e si guarda le mani: son solo 2.
Prova a prendere un piatto con una mano... allunga la mano per prendere il secondo ma interviene il suo superiore: sta sbagliando, doveva iniziare con l'altra mano.
E già partiamo male.

Il superiore spiega che deve prendere un piatto con la mano sinistra, poi con la destra prendere un altro piatto e piazzarselo sul braccio sinistro e, quindi, con la mano destra porterà il terzo piatto.
Il ragazzo ci prova e per poco la pasta non finisce per divenire parte della pavimentazione.
Allora ci riprova, e ancora... ma niente: è alle prime armi, è nervoso, ora anche magari spaventato dalla possibilità di perdere il lavoro già al primo giorno... e in più semplicemente non lo sa fare.
Il suo superiore rimane lì e continua a ripetergli cosa deve fare.
Gli altri camerieri sono andati e tornati, e già qualcuno controlla quando ritirare i piatti vuoti.
La pasta si sarà freddata ma niente: il ragazzo deve uscire lui per quel tavolo e deve uscire con 3 piatti.
Non si può passare la cosa ad un altro che magari è già libero, non lo si può intanto mandare con 2 e poi torna a prendere il rimanente... no, piuttosto la pasta fredda uscirà quando gli altri ai tavoli saranno alla portata successiva, ma dovrà andare come da routine.

E, per fortuna, non ero io quel cameriere ma, soprattutto, non ero il cliente che si sarà ritrovato un piatto di pasta oramai freddo (dopo averlo pagato chissà quanto).
Comunque alla fine ce l'ha fatta, ovviamente, anche se camminava come un funambolo e tutti abbiam temuto che la pasta gli volasse via e finisse in terra o, ancora peggio, addosso a qualche cliente.

 

Potrei andare avanti con altri esempi, ma oramai credo che il concetto sia già, di per sé, chiaro: hai una mansione da svolgere, la devi svolgere esattamente in un dato modo e questo è il tuo lavoro.
Tecnicamente, quindi, hai un orario in cui si prevede che tu possa svolgere determinate mansioni, a livello numerico, seguendo gli standard del caso: tot email da inviare, tot rapporti da compilare, tot cose da fare.
Poi arriva l'imprevisto, che, a questo punto, tanto imprevisto non è, visto che basta un nulla per scatenare un blocco del sistema... e tutto rallenta.
La signorina allo sportello delle prenotazioni ha avuto 30 minuti di "perdita", minuti nei quali, probabilmente, erano previste altre 2 prenotazioni... per cui ecco che le è appena arrivato uno straordinario.

Da qui è un attimo che le cose rimbalzino: se la signorina dello sportello deve rimanere 30 minuti in più, allora anche l'impiegato che magari ha da archiviare le fatture deve attenderla, e così anche quello che le faxa, quello che le imbusta, quello che... e così anche per il cameriere che, uscendo tardi, farà sì che un tavolo finisca dopo, quindi si possa chiuder dopo e quindi pulire dopo.
In un macchinario, la velocità di questo è sempre legata, per forza di cose, alla velocità dell'ingranaggio più lento.

 

Ora io ho portato, per esperienza personale, problematiche legate alla routine o ad un'incapacità (in senso non offensivo, ovviamente), ma le problematiche possono essere molteplici: mail che tardano ad arrivare, salta la corrente, un file che si corrompe, ecc ecc... con mille e più possibilità di ritardi.
Se l'idea di fondo fosse "io lavoro dalle 8 del mattino fino alle 15", non ci sarebbero problemi di sorta e, suonata la campanella partirebbero i saluti... ma se l'orario diventa più un "suggerimento", una "previsione", che un qualcosa di inciso nella pietra... allora ecco che arrivano gli straordinari.
E che, come abbiamo visto, rimbalzano sui colleghi.

Altre volte, semplicemente, si decide volontariamente di fare le cose più lentamente.
Altre volte, invece, si "copiano" gli altri, quelli "più lenti", perché... in fondo, circondato da gente che sembra affaccendata, ti senti un po'... strano ad esser l'unico che si alza e se ne va.
E così, piano piano, i minuti si dilatano, diventano ore... e tutto questo diventa normale, quotidiano... neanche te ne accorgi (i problemi, anzi, sorgono quando te ne accorgi!) e lo ripeti ogni giorno.
Ancora questa routine.

Ovviamente questa è solo la mia parola e, io in primis sprono sempre a non fidarsi della parola di un Signor Nessuno sulla rete, a prescindere dai numeri che ha (o che mostra): a tal proposito, infatti, sulla mia Pagina Facebook Un Italiano in Giappone ho ospitato (e continuerò a farlo) vari ospiti in dirette streaming per poter chiedere ad altri italiani qui residenti come sia (o come sia stato) lavorare in Giappone.
Ti lascio alla visione di tali video, se vorrai, e all'idea che tu stesso ti farai a riguardo.