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Tokyo, in provincia di Pechino

Avevo scritto questo Articolo poco prima dell'inizio di questa brutta faccenda che si è rivelata essere il nuovo CoronaVirus e, da allora, vista l'evoluzione delle cose, l'ho messo in "panchina".
Non l'ho cancellato non perché ci tenessi particolarmente ma, bensì, perché sono, purtroppo, abbastanza convinto che, con i dovuti tempi, tornerà ad essere più che adatto ai tempi.
Poi, oggi, mentre concludevo un altro Articolo (che, a questo punto, rimanderò nella pubblicazione a settimana prossima), rivedendo questo titolo, mi sono detto: "forse non è così fuori luogo".
Certo, la situazione oggi è molto diversa, ma credo che sia utile ricordare come stavano le cose solo pochi mesi fa...
Ero appena rientrato dopo aver passato quasi due mesi, praticamente ininterrotti, in quel di Tokyo.
Avevo visitato musei e parchi giochi, centri commerciali e 下町 (Shitamachi, le “downtown” giapponesi), centri turistici e (cercato) luoghi sconosciuti...
È ovvio: ognuno ha i propri gusti e pareri.
E proprio su questo punto, senza voler offendere le passioni (concrete così come quelle più “da sogno”) di nessuno, tuttavia alla fine di questa permanenza in una città così diversa dalla mia Kyoto, una frase, natami in mente per scherzo, mi è poi rimasta ben impressa fino ad oggi, nonostante tutto...

Parliamo del 1457.
Può sembrare tanto tempo fa, ma se guardiamo nella prospettiva della Storia, dove grandi passi segnano lo scandire dei tempi, ci ritroviamo praticamente dietro l'angolo.
Soprattutto in Giappone: il Paese del Sol Levante osserva la sua Storia, la percepisce (soprattutto al livello umano) come scandita in Ere, periodi anche non troppo lunghi, soprattutto man mano che ci si avvicina al momento attuale... e il 1457 sta giusto dietro l'angolo.

Ma cosa accadeva in quell'anno?
Accadeva che dalle sabbia del tempo veniva ripescato un piccolo villaggio di palafitte: quattro case e un forno, diremmo oggi.
Era un villaggio povero, un luogo dimenticato o ignorato da tutti: un luogo sul quale nessuno avrebbe rivolto la benché minima attenzione.
Un giorno, però, uno dei tanti Clan giapponesi, visto che si era praticamente perennemente in guerra da sempre, vide una possibile utilità, benché minima, nel villaggio: la sua posizione, sulle rive di un fiume ben navigabile e vicinanza ai porti costieri, poteva rappresentare una rivelazione strategica.
Ma dico "poteva" rappresentare una sua certa importanza perché; quel giorno, ancora nessuno ne aveva data alcuna.
Insomma, quelle quattro palafitte cenciose vennero circondate da palizzate e da piccolo villaggio di poveri pescatori dimenticati, il luogo senza nome divenne una fortificazione militare (sempre senza nome) del Clan Uesugi.

 

Le guerre continuano, con alternate fortune e sfortune, e il Clan Uesugi perde terreno su terreno: Toyotomi Hideyoshi conquista a man bassa, seguendo prima il suo mentore Oda Nobunaga e poi in un turbine di follia vendicativa quando questi viene assassinato.
La fortificazione, così, diviene parte dei terreni di colui che serviva il più grande conquistatore del Giappone, l'uomo che rifiutò il titolo di Shogun ma che sognava di riunificare il Paese... e, in seguito, da servitore a Shogun, leader del "quasi" Giappone.
E intanto nel paesello fortificato la vita scorreva come sempre, tra povertà e l'esser ignorati.

 

Ma Hideyoshi non avrebbe regnato a lungo, poiché quel furbacchione di Tokugawa Ieyasu, alla fine, si prese tutto: titolo, sogno, potere... e unificò il Giappone.
Venne il 1603 e, me lo immagino sogghignante per la sua ennesima furbata, punta un dito sulla mappa e dice: "piazzeremo qui la nuova capitale".
Punta il dito nel vuoto, nel nulla... così tutti i presenti avran pensato qualcosa come "ah ok, facciamo come si fece mille anni fa per Kyoto: edifichiamo una capitale magica in uno spiazzo vuoto".
E invece, quello spiazzo, non era per nulla vuoto: era il paesello dimenticato.
E così nasceva Edo.

Lo scopo di spostare la capitale da Kyoto?
In realtà nessuno, tant'è che Kyoto rimase concettualmente la capitale per lungo tempo (ancor oggi non sono pochi quelli che considerano ancora Kyoto la capitale e Tokyo la si vede solo come epicentro commerciale): ma a Kyoto c'era l'Imperatore, che, benché realisticamente contasse veramente poco, aveva ancora in sé il "potere divino"... bastava una sua parola per sollevare masse di cittadini infervorati e far scattare guerre (e, fino ad allora, non c'era stata gran parsimonia nell'uso di tale potere).
Insomma, Tokugawa voleva essere leader in tutto e per tutto e non uno dei tanti Shogun a dover comunque star attento a non infastidire un Imperatore che non aveva nulla se non la sua abitazione.
Così trovò la scusa: l'Impero, che fino ad allora si era praticamente solo concentrato sulla zona del Kansai e dintorni, considerando tutto ciò che era distante come un territorio annesso ma "deserto" (era, in realtà, abitato, e ogni tanto partiva una spedizione per sottomettere ancora più fortemente gli abitanti di queste regioni, ma a parte donar loro una periodica dose di batoste, non venivan minimamente considerati, né loro e né i loro territori), si stava in realtà espandendo, stava prendendo sempre più vita e non sarebbe stato né giusto né saggio ignorare la fioritura, seppur tardiva (che tardiva non era, visto che era solo ignorato), del nord.
E Kyoto era troppo distante per mantenere una equa velocità amministrativa.

Ma che Tokugawa volesse staccarsi da Kyoto lo sapevano tutti, all'epoca: era un po' il segreto di pulcinella.
Ma nessuno avrebbe mai pensato che se ne sarebbe andato, di punto in bianco, a costruire la capitale sul nulla, in mezzo al nulla, con fondamenta un villaggio di pescatori su un fiume di fango senza nome (difatti era credenza comune, allora, che la nuova capitale sarebbe stata Osaka, la ricchissima città commerciale).

E oggi?
Oggi la capitale del Giappone è un faro che abbaglia il resto del mondo, solo che, come tutti i fari, strutturalmente è una grossa lampadina e la luce, seppur potente e all'apparenza magica, resta comunque nulla di più che una luce elettrica.
Un modello di tecnologia dove le aziende comunicano ancora con macchinari per i fax.
Un modello di precisione dove una sola compagnia ferroviaria gestisce la ragnatela di linee (mentre città vicine già ne hanno 3 o 4, fornendo servizi diversificati sia per prezzo che per velocità).
Un modello di educazione, dove strutturalmente vaghi cieco e sordo per non cadere preda dell'angosciosa lunghezza e tortuosità degli spostamenti.
Un modello di "vero Giappone" (uno dei vari "veri" Giappone, a seconda dei gusti) che, però, ha una percentuale di "non-giapponesità" altissimo... e non parlo solo dello spropositato numero di turisti, quelli ci sono in ogni grande città nota ed importante, è ovvio, ma parlo proprio di una silenziosa ma onnipresente traccia: la Cina.

Il numero, la presenza e la tatticità di attività cinesi nella Capitale è impressionante e molte di queste sono proprio lì, sulla strada giusta, per accogliere te, turista che vai a cercare il kimono sgargiante con i draghi dorati che si arrampicano su per le nuvole argentee, il tutto su sfondo nero ma che, per cortesia, non costi più di 30 o 40 euro, grazie.

 

Non mi credi?

 

Una delle frasi che sento/leggo più spesso è: "che bello che è il quartiere di Asakura (che poi si parla del quartiere ma in realtà si parla solo di una infinitesima parte del quartiere, ovvero dei dintorni del complesso Buddhista di Sensō-ji, visto che il resto del quartiere è, per lo pià, prettamente commerciale di stampo residenziale, con via coperte traboccanti comuni negozi e centri commerciali), il luogo più antico di Tokyo (a volte si combatte il titolo con Yanaka, che effettivamente è tra i luoghi più antichi sopravvissuti in Tokyo, risalendo a poco prima della Seconda Guerra Mondiale ed essendo sopravvissuto ai bombardamenti), dove si respira il vero Giappone tradizionale".
Ecco, la foto che ho allegato al presente Articolo è stata scattata proprio in quella zona, giusto per dire... ma rizompiamo per un attimino indietro nel tempo.

 

Il Sensō-ji nasce come Santuario (si, non come Tempio) dedicato a due statue ritenute dono dei Kami, se non ricettacolo stesso, recuperate in spiaggia da pescatori nel, si racconta, 628 (quando ancora la zona aveva tutto un altro aspetto).

Incidentalmente le statue erano raffigurazioni del Buddha, vittime di un naufragio.
Il miracolo è l'evento della zona, una zona, ricordiamolo, dimenticata da tutto e tutti... una zona in cui era più che ovvio che perfino ripescare delle statue dal mare sarebbe divenuto l'evento di tutti gli eventi (e, probabilmente, anche l'unico mai avvenuto), tant'è che vi sono pseudo-testimonianze (parliamo di un periodo che già di per sé non brilla per cronologie precise e storiche, figuriamoci poi se qualcuno si prendeva la briga di prender nota degli eventi accaduti nel nulla) che raccontano di come, intorno al 645 venga edificato un vero e proprio Santuario, con culto e festività, dedicato ed incentrato sul Kami che poi sarebbe la statua più alta.
Nessuno aveva visitato l'area, per cui nessuno poteva dire ai pescatori che quella statua rappresentava il Buddha, quindi, in parole povere, mantenendo i dettami di quelle forme arcaiche di Shintoismo che un po' conoscevano e un po' si erano personalizzati, misero su quello che sentivano.
Dobbiamo arrivare al Periodo Edo (ovvero mille anni dopo!) perché lo Shogunato Tokugawa, perennemente impegnato nell'ottimizzare il controllo sul Giappone, si inventasse la sua idea di "anagrafe", ovvero un qualcosa che potesse tenere costantemente monitorati tutti, con delle lunghe liste di nascite e morti, chi viveva dove e cosa faceva... e lo Shogunato decise di utilizzare proprio il Buddhismo a tal proposito!
In parole povere trasformò la Religione in una sorta di ministero che si occupava ancora si dei propri affari, ma solo nel tempo libero, perché per lo più doveva fare da asilo (indottrinazione verso la cultura e civiltà del Periodo Edo), da onoranze funebri e, appunto, da anagrafe.
Fu allora che, dopo esser già stato Tempio privato, legato ad una sorta di sincretismo Shinto-Buddhista (che alcuni accademici italiani al solo leggere questa cosa gli verrà un attacco di ulcera ma tant'é) che venerava gli antenati dei Clan come una sorta di "santi" in un paradiso Buddhista, visto che nello Shinto non ce ne stava uno, il Sensō-ji venne ufficializzato come parte di questa burocrazia: non solo, essendo così antico nelle origini (anche se del tutto disconnesso da ciò che stava diventando), la famiglia Tokugawa stessa "trasferì" la tutelarità del culto verso il proprio stesso Clan.
Ricostruito varie volte, sempre più allargato, aggiunte a più non posso... ed ecco che finalmente prende sempre più l'aspetto che oggi ha.

Come per tutti i Santuari, e chi ha letto il mio libro indubbiamente ricorderà, un sentiero gli fa da ingresso: viene chiamato Sando ed è molto importante poiché, oltre a dare un certo aspetto di magnificenza alla costruzione (in genere spoglia), aiutava sia nella sicurezza del posto, contro gli incendi ed era il luogo dove avveniva la "processione" durante le festività religiose... e anche il Sensō-ji, ovviamente, aveva questo suo vialone.
Anzi, lo ha ancora!
Infatti torniamo al presente...


Si chiama NakamiseDōri ed è quella strada di negozietti che figura come "il Giappone tradizionale" perché, avendo nei dintorni molti servizi di noleggio costumi a buon mercato, che noleggiano sia yukata (non kimono) ma anche costumi da ninja, samurai e oiran (prostitute... tra l'altro uno dei costumi più gettonati dagli stranieri perché oggettivamente è molto bello e appariscente), spesso vi si vedono coreane, cinesi, filippine, tailandesi e via dicendo in questi yukata di poliestere.

Questi negozi (che, tra l'altro, in un video che è presente sul mio profilo Instagram si può ben vedere) sono quasi tutti negozi di souvenir in plastica o carta, con, ad esempio, riproduzioni di maschere tradizionali ma versione carnevale (quindi plastica con elastico), riproduzioni di oggettistica tradizionale ma in plastica, qualche tonnellata di calamite (tipiche proprio del Periodo Edo!) e via dicendo.
Si, c'è anche un negozio di katane in plastica che però sembrano anche quasi vere.

Per onor di cronaca va detto che ci sono anche un negozio di scarpe, che son scarpe vere per cui massimo rispetto per l'autenticità, e ben due negozi di stampe... che non capisco cosa ci facciano lì, visto che sono dei veri e propri negozi di stampe e quindi l'unico prodotto originale (guardando in prospettiva al fatto che, ovviamente, di per sé, la stampa non può essere un prodotto originale, ma quel che intendo è che, si, ha anche stampe fatte al laser o versione cartolina per acquisti poco impegnativi, ma ha anche stampe prodotte "come si conface").

Più della metà di questi negozi sono di proprietà di famiglie cinesi, degli altri non ci sono prove che lo siano ma... di giapponesi che si chiamano "Cheng" di cognome ne ho conosciuti davvero pochi.

Torniamo ai nostri bellissimi prodotti tradizionali da "vero Giappone".

Primi tra tutti, indubbiamente spiccando per vendite come per appariscenza, a furor di popolo abbiamo i "kimono".

Ora, tralasciando che se, in Giappone, esiste un proverbio che dice "a Kyoto rovinati (economicamente) di kimono (nel senso di vestiti in generale), a Osaka di cibo" e non viene nemmeno lontanamente menzionata Tokyo ci sarà un perché (io, infatti, lo ammodernizzerei così: "a Kyoto rovinati economicamente di kimono, a Osaka di cibo e a Tokyo di action figures"), andiamo comunque a guardare questi negozi tradizionali di veri kimono plus ultra.

Colori belli sgargianti, materiali lucidi, disegni incredibili che a paragone perfino i costumi del Teatro Kabuki diventano sobri abiti per cerimonie funebri... entri pensando di stare all'interno della storia ed esci vestito col corrispettivo giapponese di Arlecchino (e non devi credere a me: come dico sempre non devi credere a nessun omino su internet che dice cose, me compreso... controlla semplicemente l'etichetta del prodotto, controlla in che materiale è e la provenienza, il famoso Made in China).
E va anche bene che ci hai speso si e no 20 euro, per cui come investimento ci può anche stare... ma a parte usarlo come accappatoio a casa (per i 2 o 3 mesi che durerà, essendo in un materiale autodegradante che ha la capacità di disintegrarsi senza apparente motivo) cosa ci fai?
Intendiamoci, son belli eh.
Anche io ne comprai uno o due, con i draghi e gli scorpioni, tutti belli dorati su sfondo rosso che sembravo uno Yakuza ubriaco... e difatti li ho usati ad Halloween per improvvisare dei costumi (uno mi si è distrutto perché ci è finita della birra sopra: prima è apparsa, ovviamente, una macchia indelebile che si è trasformata in un buco in tempi piuttosto brevi).
Ci ho anche fatto una gran bella figura eh, mia moglie l'ho conosciuta che ne indossavo uno.

Ah, la magia del vero Giappone!

Ho citato solo una piccola, infinitesimale fotografia di Tokyo, ma la realtà è, come sempre, molto più complessa, con situazioni anche più "dolorose" di queste, riprese un po' umoristicamente... parliamo ad esempio delle sempre più pressanti manovre della mafia cinese per infiltrarsi come meglio può nel Governo, manovre che non sono molto gradite da nessuno.
E chi si muove quando c'è qualcosa di sgradito che si vuol eliminare senza che l'occhio occidentale sempre vigile non arrivi gridando che è una violazione dei diritti e delle convenzioni taldeitali?
Ovviamente la Yakuza... e difatti ogni tanto non finisce granché bene.
Ma perfino la Yakuza ha i suoi problemi perché, per forza di cose (o, almeno, così ho letto... non sono molto esperto di ciò che accade quando un mafioso ha da gestire una città), la famiglia per eccellenza che guida Tokyo, la Kokusui-kai (ora parte della più grande Yamaguchi-gumi) ha dovuto scendere a patti con la mafia Coreana (del sud), cedendo a questi la gestione delle catene di Pachinko...
Insomma, è decisamente complessa come cosa, ma di sicuro un panorama che non rende Tokyo come città "modello di giapponesità", solo perché ogni tanto c'è uno scorcio pittoresco (che, con un po' di impegno nessuno ti vieterebbe di ricrearne uno simile a Torino eh) o perché vuoi credere che sia così perché ti piace come città e allora senti un desiderio di idealizzazione.