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Una passeggiata tra i Momiji

L'autunno mi è sempre piaciuto.

 

 

Certo, con la stagione delle piogge che fa si che piova tutto il giorno per 6 giorni alla settimana, puó finire per snervare, ma per fortuna dura poco. Prima del suo inizio, tuttavia, decisi di concedermi un'ultima tranquilla passeggiata tra i momiji, le foglie cremisi che rendono tipico l'autunno giapponese.

Ho avuto fortuna: il tempo era mite e molte foglie eran già passate al rosso, così scattai alcune foto.

Dalla stazione centrale di Nagoya, tramite metropolitana linea gialla arrivai alla fermata di Sakae, quindi cambia linea per la viola e scesi alla fermata di Jingunishi. Non era la prima volta che visitavo la zona, a capodanno avevo visitato il bellissimo santuario Shintoista di Atsuta, il grande giardino dove sorge ha un ingresso a vista dall'uscita della metropolitana.

Ma questa volta la mia meta era nuova: il giardino Shirotori (白鳥, vuol dire bianco uccello e il nome è pertinente, dato il numero elevato di uccelli dalle piume candide che volavan o nuotavan nei vari laghetti).

Subito dopo l'ingresso, nonostante fosse solo un basso muretto (era di poco più alto di me) a separarmi dall'esterno, mi sentii catapultato in un'altra era e in un altro mondo.

Dopo aver ben inspirato quella sensazione ad occhi chiusi, avanzai per osservare una piccola fontana dallo stile tradizionale: nell'acqua galleggiavano alcuni momiji e quindi sollevai lo sguardo... un albero aveva mutato colore ed era bellissimo sotto il cielo terso, privo di nuvole e brillante.

Passeggiai un po' nel giardino, incontrai molti altri alberi coperti da foglie cremisi.

Non c'era molta gente e il silenzio era per lo più musicato da un leggero venticello tra le fronde e l'acqua che scorreva, così mi fermai spesso sui vari ponticelli a osservarmi attorno: era come trovarsi in un mondo privo di esseri umani, lontano da guerre o problemi, progresso e difficoltà. Era un mondo in cui tutto è perfetto e la vita è sempre pacificamente bella, armoniosamente sogno.

Prima di tornare verso la parte più affollata del parco (eufemismo, visto che ci saran state una ventina di persone... e in Giappone lo si può definire un deserto), trovai per caso un riparo in legno. Un'antica usanza giapponese, poco più di una capanna, in genere rettangolare, con tetto in paglia, poco e nulla per pareti ma con comode panchine per riposare. Si trovavano numerose lungo le strade che collegavano le città, così i viaggiatori potevan fermarsi e consumare il bento (弁当, pasto al sacco) o semplicemente riposarsi al coperto.

Non ero stanco ma era troppo invitante: mi sedetti un paio di minuti, guardando il panorama attraverso una finestra rotonda che mi fece sentire una sorta di samurai hobbit.

L'attrazione del parco che attirava come un magnete i visitatori giapponesi (di stranieri non ne vidi) era una casa del tè (un "bar" tradizionale, dove ci si accomoda, si gusta il tè verde e qualche dolce). Aveva un aspetto tradizionale e si affacciava su un bel laghetto popolato da grosse carpe rosse o dorate. L'atmosfera all'interno non era di certo delle più tradizionali, ma una volta seduto al mio tavolo e affacciato verso il lago non ne fui disturbato: ero tornato per un attimo nel mondo reale ma dalla finestra potevo ancora sognare. E poi il tè era squisito e il dolcetto, a base di castagne, che lo accompagnava era tra le cose più deliziose che avessi mai mangiato.

Prima di lasciare il posto notai che le carpe la pensavano come me, salendo a galla e affacciandosi boccheggiando, sembravan quasi chiederne un boccone.

Pagai un prezzo irrisorio e mi diressi lentamente e per la via più lunga verso l'uscita.

Mi fermai, mentre oramai il tramonto si avvicinava, sull'ultimo ponticello prima dei cancelletti d'uscita e mi guardai indietro: era stato un pomeriggio piacevole, rilassante e privo di parole. Occhi, cuore e profumi avevan per una volta potuto parlare, non soffocati dal continuo blaterare della bocca.

Lasciai il giardino e decisi di far una strada diversa per tornare a casa: vidi negozietti, panetterie e locali notturni che sembravan interessanti, ma a parte una breve sosta presso un negozietto gestito da un'adorabile vecchietta con cui scambiai quattro chiacchiere, non mi soffermai a lungo. I giapponesi, specie gli anziani, si stupiscono sempre nel vedere uno straniero parlare la loro lingua e se ci si mostra educati e ben disposti al dialogo (basta una leggera banale battutina, magari sul tempo atmosferico, per rompere il ghiaccio) non resistono dal chiacchierare un po. Comprai da lei un po' di dolcetti alla castagna, lo stesso che avevo mangiato al giardino, e mi diressi presso la vicina stazione dei treni.

Usai la linea JR per tornare alla stazione di Nagoya, un po' più lenta ma più economica e tranquillamente silenziosa della metropolitana... e d'altronde non avevo fretta.