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Imparare la lingua giapponese: come, dove, quanto?

E' senza ombra di dubbio la domanda che mi viene posta più frequentemente: "ma quanto ci hai messo ad imparare il giapponese?"
La seconda domanda, che sempre mi perplime, è "ma hai amici giapponesi?", come se fosse una cosa strana, incredibile o forse è stato lasciato credere che sia una cosa impossibile.
A quest'ultima domanda posso rispondere molto velocemente, in realtà, con un banale e sbrigativo "si, molti e buoni".
Alla prima domanda ho deciso di dedicare più tempo e una spiegazione più dettagliata sia del mio caso specifico che, soprattutto, di ciò che vuol dire imparare la lingua giapponese per un italiano.

Ti avverto, sarà un po' lunghetto, ma ho voluto davvero sviscerare tutto e, spero, di averlo fatto bene.

 

 

 

 

Ora ti dirò una cosa che ti lascerà sconvolto... e sarà solo la prima di una lunga serie:

 

 

il giapponese, per un italiano, è molto più semplice dell'inglese.

 

Com'è possibile?

Ora ti spiego perché ne sono totalmente convinto.

 

In primis c'è il fattore pronuncia:

dove in italiano abbiamo dei suoni ben precisi per le varie vocali e consonanti, in inglese questi suoni sono diversi... un banale esempio è la "i", che noi pronunciamo "i" e gli inglesi molto spesso pronunciano "ai".

Bene, in giapponese tutti i suoni hanno la stessa identica lettura e pronuncia italiana.

 

Prendiamo ad esempio le vocali:

in italiano abbiamo aeiopronunciate come, appunto, tali (per noi).

In giapponese ci sono あ, え, い, お, う e vengono pronunciate proprio aeiou.

 

Passiamo alle consonanti allora.

In italiano abbiamo: bcdf, ecc

C'è anche la che, per lo più, serve per "modificare" alcune pronunce, ad esempio la dolce di cela diventa una dura, simile al suono della k, in chela.

In giapponese ci sono gli stessi suoni ma vengono elencati per dittonghi:

ば (ba), か (ca), だ (da), が (ga), ecc ecc...

 

Mi perdonerai se salto i dettagli ma lo scopo di questo mio articolo non è una lezione di lingua giapponese quanto parlare dello studio di questa per noi italiani.


A parte quindi piccolissimi dettagli, facilmente superabili (il suono della l/che in giapponese sembra quasi quella che noi considereremmo la "r moscia", ad esempio) ci ritroviamo davanti una lingua che per noi è semplicissima da pronunciare e, una volta memorizzati gli alfabeti, praticamente naturale.

 

E qui arriva la domanda: "ma quanto ci vuole ad imparare tutto questo?"

 

Poco.

Davvero poco.

 

Parlando della mia personale esperienza, mi sono ritrovato con una conoscenza pari a zero (giusto qualche parola memorizzata al volo, il classico "arigato" e "sayonara", per capirci) davanti all'impresa di iniziare lo studio di questa lingua direttamente in Giappone, presso una scuola per stranieri.

 

La prima lezione sono stati i cinque suoni delle cinque vocali: studiati con impegno e il giorno dopo li avevo già in memoria.

Andando avanti a cinque alla volta l'alfabeto fonetico era già mio in una settimana e con esso il primo alfabeto per leggere/scrivere, ovvero l'Hiragana.

Va da sé che, quindi, in due settimane avevo studiato i due alfabeti principali e mi potevo accingere allo studio dei Kanji e, in capo a tre mesi ne avevo già memorizzati un centinaio, non solo da leggere e scrivere, ma anche da utilizzare in parole vere e proprie, comprendendone il significato.

 

Contemporaneamente si avviava lo studio della grammatica che, a parte qualche dettaglio che ci vorranno anni a capire bene come si gestisce (il sistema は/が per identificare un soggetto in una frase, ad esempio), avevo già in memoria il modo per gestire frasi semplici, cose come soggetto+verbo (al presente e passato, positivo e negativo)+complemento oggetto.

Avevo pure studiato il complemento di specificazionemoto a luogo e da luogo.

Insomma, banalmente, potevo presentarmi in maniera completa e descrivere cosa avevo fatto in passato e costa stavo facendo nel presente, da dove venivo, quanti anni avevo e cose di questo genere.

In tre mesi.

 

Il mio vocabolario era, per forza di cose, davvero striminzito e questo mi permetteva magari di esprimere alcuni concetti basilari, ma spesso mi era impossibile comprendere cosa mi veniva detto.

In sei mesi anche questo problema era stato ovviato.

 

Certo, rimanevo limitato a discorsi molto semplici, su argomenti di vita quotidiana e "leggeri"... non potevo parlare di politica, computer o medicina, ma ero in grado di dire cosa mi piaceva, cosa non mi piaceva, fare domande, fornire risposte, invitare a bere qualcosa...

 

Beh, se sono sopravvissuto fino a oggi evidentemente bastava.


In poco meno di un anno
 la grammatica era, in soldoni, conclusa.

Certo non al 100%, poiché una lingua viva ha sempre quelle "formulette speciali" per casi eccezionali, c'è lo slang, c'è il modo di dire e via dicendo... ma potevo dire tutto quello che mi pareva, costruire le frasi per come ne avevo bisogno e strutturalmente non avevo più barriere linguistiche: il mio unico limite era, ovviamente, il mio vocabolario.

 

Sono un "miracolato"?

Io non credo.

Allora com'è possibile?

 

Tre sono stati i fattori che mi hanno permesso questi risultati in così poco tempo:

  • solitudine
  • bisogno
  • alienazione

Va bene, detta così sembra una scena tragica, ma in realtà è stato anche molto divertente.

Faticoso ma divertente.

E gratificante, quando ti iniziavi a rendere conto di capire ciò che sentivi detto attorno a te.

 

Torniamo a noi.

 

Solitudine: questa, in realtà, me la sono auto-imposta.

Se avessi deciso di comunicare in inglese (che, tra l'altro, non ho mai studiato, per cui sarebbe stato comunque difficile) avrei potuto creare un sacco di amicizie con inglesi, americani, francesi, spagnoli, finlandesi...

Ma ero in Giappone per far amicizia con dei finlandesi?

No, perché, in tal caso, mi veniva più comoda la Finlandia, tutto sommato.

Per cui evitavo di parlare in inglese e, nei casi in cui mi si rivolgevano in questa lingua, sbrigativamente chiudevo la conversazione dicendo che non capivo (che, tra l'altro, era pure la verità).

Molti miei compagni invece fecero tante amicizie in giro per il mondo, parlando spesso e volentieri in inglese, e son contento per loro, tuttavia si iniziò ad aprire un divario sulla competenza in lingua giapponese (ma son diventati bravissimi in inglese!).

 

Ora, io non sono uno psicologo, per cui non so se quanto sto per dire corrisponda a verità o meno, ma io ne sono convinto, per cui...

 

Credo fermamente che un cervello si "setti" in una lingua, ovvero quella madre (o, eventualmente, più di una, nel caso dei multilingua) e che tutti i processi poi passino sempre e comunque per quella.

Nel momento in cui vuoi imparare un'altra lingua non hai altre opzioni: devi forzare il tuo cervello a "settarsi" nella nuova lingua desiderata.

Già questo è uno sforzo notevole e che richiede dedizione, costanza e tempo.

Ora figuriamoci cosa può accadere se ci mettiamo a forzare il nostro povero cervello a passare da un setting linguistico all'altro, magari ripetutamente.

Finisce che trova una "scorciatoia" e si adagia sulla lingua più "comoda", che, nel nostro caso, è l'inglese perché fin da bambini, nel bene o nel male, ce lo ritroviamo di certo più spesso attorno rispetto al giapponese.

 

Morale della favola?

Miglioriamo enormemente in inglese (che non era l'obiettivo che cercavamo) e potremmo non fare nessun progresso, se non giusto delle vaghe basi, in giapponese.

 

E' una frase che non mi stancherò mai di dire, riguardo questo argomento:

 

ogni frase in inglese che dirai, ucciderà una frase in giapponese che avresti potuto imparare.

 

Drastico?

Forse neanche tanto.

 

Proseguiamo.

 

Bisogno.

Immagina di dover fare qualcosa... ma non qualcosa di, tutto sommato, secondario, no... immagina di aver un vero e proprio bisogno.

Un esempio?

Devi urgentemente andare in bagno.

Ora piazza questo bisogno in un luogo sconosciuto.

Di possibilità ne hai veramente poche: o giri come un pazzo sperando di trovare e riconoscere un bagno, oppure chiedi e tenti sia di farti capire che di capire cosa ti vien detto.

 

Questo avveniva quotidianamente per ogni cosa, dalla più banale a quella più importante.

Così finivi per associare comportamenti, oltre che parole, e modi di porsi, oltre che regole grammaticali, per ottenere un risultato.

 

Come si suol dire: non hai altra scelta.

 

Infine, non meno importante, l'alienazione.

Ma questa volta il significato è leggermente diverso da quello che puoi immaginare.

Certo, da solo, un italiano, in mezzo ai giapponesi in Giappone, facile dire che ero abbastanza alienato.

Ma in realtà lo scopo era alienare la mia italianità.

 

Mi spiego meglio:

finché continuo a pensare come un italiano (sia a livello di modi di fare che di educazione, cultura, ma soprattutto, in questo caso, lingua) ottengo solo di dover pensare una cosa, tradurla parola per parola, quindi dirla (probabilmente male, poiché è facile che io finisca per usare una costruzione italiana e semplicemente tradurre le parole... rendendo, per un giapponese, quasi incomprensibile il concetto).

Ammettendo anche che io sia riuscito in questo intento, ora mi tocca passare alla risposta:

ascoltarla, iniziare a tradurla parola per parola (sperando di ricordare tutto), rimetterla in ordine in modo che abbia senso in italiano e finalmente ho la mia frase.

 

Di questo passo non se ne esce più.

 

Quindi l'unica cosa che potevo fare era alienare tutto ciò che avevo imparato fino a quel momento (cultura, educazione, linguaggio) e copiare, tentare di imitare, spingermi nell'immersione totale in questo mondo, non solo fisicamente e socialmente, ma soprattutto mentalmente.

 

A quel punto, lentamente, ti accorgi che quando sei con i giapponesi (ora mi accorgo che, in realtà, mi accade di base sempre...) non pensi più in italiano, ma direttamente in giapponese.

Magari hai ancora la difficoltà del vocabolario, perché vorresti usare una parola ma non la ricordi/sai, ma ti devi mettere a fare un giro di parole per spiegare il concetto ugualmente.

E riesci.

 

Tutto questo io l'ho ottenuto in poco meno di un anno.

 

Il corso della mia scuola (ma è così praticamente per tutte) prevede che tu, in due anni, raggiunga una competenza perfetta della lingua giapponese (sia scritta che parlata) al pari di un giapponese.

 

In realtà è impossibile.

Per due motivi:

  • vocabolario
  • metodologia

Per quanto tu possa studiare e tu possa usare i "trucchi" che ho elencato prima, comunque il principio per il quale tu riuscirai a parlare giapponese sarà sempre e solo uno: continuità.

 

Ti faccio un esempio:

oggi inizi a studiare l'Hiragana e memorizzi le 5 vocali.

Il giorno dopo le ricordi molto bene, ma non le ripeti né le utilizzi.

Il giorno dopo ancora le ricordi male e quello successivo le hai dimenticate.

Su questo non si scappa.

Io non ho una gran capacità di memorizzazione di mio, ma ogni giorno, vivendo in Giappone, anche se non studio l'Hiragana, lo vedo attorno a me e mi tocca leggerlo e scriverlo per qualche motivo (anche solo per chattare su Twitter con gli amici).

Questo è studiare.

Alcune parole tu le studi a scuola, organizzate (secondo i loro studi) secondo un ordine di utilità nella vita quotidiana e aumentando, col tempo, la complessità del discorso.

In parole povere se i primi giorni studi le parole "casa", "mamma" e "papà", dopo un anno studierai le parole "accartocciare", "appendere alla parete" e "disporre in bacheca" (per fare un esempio).

Il problema è che, al di là dell'impegno che ci puoi mettere per imparare come si dice "frantumare", comunque quante volte ti capiterà, oggettivamente, di dirlo?

Praticamente mai (a meno che, volontariamente, tu non ti metta a prendere a pietrate i vetri della scuola solo per poi poterlo usare)... lo dimenticherai.

E pure in fretta.

 

Io mi accorgo di poter parlare piuttosto spedito con la famiglia o gli amici di alcune cose, ma quando il discorso scivola su argomenti che non mi interessano particolarmente (e che, quindi, spontaneamente non tratto e di conseguenza contenenti parole che uso raramente) rallento e finisco perfino per incartarmi del tutto se la cosa inizia a diventare complessa (un esempio? Una frase in cui non conosco la parola che voglio usare come complemento oggetto e neppure la parola che voglio usare come verbo... diventa ben difficile perché devo prima spiegare di cosa voglio parlare e quindi dell'azione!)... invece capita che frasi, anche complicate, che però mi sono ritrovato, volente o nolente, a ripetere spesso (o sentire spesso), le ricordo bene e quindi, anche se rallento perché passo da un parlare fluido a un "dover ricordare e quindi poter dire", comunque me la cavo.

Questo è l'effetto del vocabolario.

 

Ma la vera differenza nello studio della lingua giapponese la fa la metodologia e, mi dispiace doverlo dire, quella delle scuole non va assolutamente bene... per metà.

 

Cosa intendo dire con "per metà"?

Partiamo dal principio, in cui io arrivo e non so assolutamente dire nulla.

Tu non mi puoi insegnare parlando una lingua che non sia quella che voglio imparare, perché altrimenti torniamo al problema del "setting" del mio cervello.

Ma non puoi neanche insegnarmi qualcosa in una lingua che io non conosco... oppure no?

 

Pensa ai bambini: loro vengono al mondo senza saper parlare eppure lo imparano.

Come?

Un metodo che mi viene in mente è quello di "immagine-suono", ovvero mostri un'immagine e pronunci la parola con cui viene identificato il soggetto dell'immagine.

Ad esempio mi mostri un disegno (più chiari, in genere, delle foto) di un piatto di riso e mi dici "gohan".

Mi mostri un disegno di un uomo che mangia e mi dici "tabemasu".

Indichi te stesso (problema enorme: i giapponesi quando devono indicare sé stessi, indicano il proprio naso... morale della favola? Avevo confuso la parola "io" con la parola "naso"... e mi chiedevo come mai usassero così tanto spesso un naso come esempio...) e mi dici "watashi".

Con tre disegni mi hai insegnato come dire (più o meno) "io mangio il riso" e poste le basi per discorsi riguardanti qualsiasi altro tipo di cibo.

 

Questo è un ottimo metodo che, man mano che lo studente si evolve, evolvendo anche il lessico dell'insegnante, porta entrambi a poter colloquiare in tempi piuttosto brevi.

 

Il problema è in quello che ti insegnano.

 

I primi tempi io mi accorgevo che c'era qualcosa che non quadrava, ma imputavo ogni possibile colpa alla mia ignoranza.

Eppure qualcosa davvero non quadrava:

come mai dicevo una frase a scuola e i professori mi capivano, ma a volte lo staff no?

Eppure era la stessa frase...

Come mai durante le lezioni capivo sempre le risposte dei professori, ma poi per strada praticamente non le capivo mai?

O meglio... intuivo un tot di parole, ma poi mi sembrava sempre che mancasse qualcosa (quasi sempre era la coniugazione verbale, ma non solo)...

 

Nelle scuole di lingua giapponese per stranieri in Giappone ti insegnano un giapponese che non esiste.

 

Cosa intendo con "un giapponese che non esiste?"

 

Ti faccio un esempio in italiano.

 

Transustanziare.

 

E' una parola italiana, perfettamente italiana, corretta e che comunque viene anche usata quotidianamente (nel suo contesto).

Indica l'atto di Gesù Cristo di trasformare un comune pane e del banale vino nel suo corpo e nel suo sangue... che poi non è che diventavano proprio carne e sangue, ma ne "assorbivano" il potere divino.

Va beh, una cosa complicata... e tutto sommato inutile da insegnare ad uno straniero, giusto?

Quante volte gli capiterà di transustanziare?

O quanto spesso credi possa incontrare qualcuno che, per strada, chiede aiuto perché sta, involontariamente, transustanziando?

 

Alla scuola di lingua giapponese per stranieri in Giappone mi è capitato di imparare la parola transustanziare ma non sapevo rispondere "sto male" alla domanda "come stai?".

 

Ok, un po' sto scherzando, ovviamente... ma davvero non ci hanno mai insegnato a rispondere "sto male"... nella loro ottica noi avremmo dovuto rispondere sempre "sto bene" e, nel caso invece che si stia veramente male, dire comunque "sto bene" ma lasciar intuire una sofferenza tale, di modo che il nostro interlocutore possa comunque offrirci il suo aiuto.

Forme verbali, parole e frasi intere che i giapponesi non usano, nel linguaggio comune... ma nel "manuale del perfetto insegnante di lingua giapponese per stranieri" c'è scritto che si deve fare così...

 

Ma stiamo scherzando?

Si, è vero che i giapponesi, in genere, preferiscono non creare disagi e quindi, anche in caso di malore, piuttosto non dicono nulla e sopportano in stoico silenzio fino a che non trovano il modo per agonizzare in solitaria sede (come gli elefanti che vanno a morire da soli), ma mi sembra il minimo della decenza insegnare comunque "sto male"... anche solo per salvare una vita umana!

 

E qui arriviamo appunto al problema della metodologia.

 

A scuola ti insegnano le coniugazioni verbali, come si usano gli aggettivi, come costruire una frase... insomma tutta quella base teorica di cui hai bisogno... per poi studiare il giapponese per fatti tuoi.

Io l'ho studiato andando per bar e pub (e infatti ho una parlata da yakuza, come non perde occasione di ricordarmi mi moglie).

 

La mattina andavo a scuola, studiavo il verbo "dovere" e la costruzione delle frasi che lo contengono, quindi la sera, appena libero, andavo al mio solito pub e provavo a usare quella frase o tentavo di dire qualcosa per "spingere" i miei amici a dire quella frase.

A quel punto potevo imparare come realmente i giapponesi costruiscono le frasi col verbo "dovere".

 

Questo ha segnato una svolta nel mio studio della lingua giapponese, una svolta che mi ha salvato da una fatica probabilmente immensa (e che altri hanno notato e stanno notando): ritrovarsi a conoscere a memoria l'intero dizionario di giapponese e ogni singola regola grammaticale ma non riuscire a far capire alla signorina del McDonald's di non mettere tre quintali di ghiaccio nella CocaCola.

 

E questo, in definitiva, il sunto della mia esperienza di studio della lingua giapponese.

 

Ora, immagino che tu voglia leggere qualche consiglio.

Ti accontento subito:

  • durante lo studio della lingua giapponese evita come la peste di usare qualsiasi altro tipo di linguaggio (in teoria anche l'italiano, ma capisco che possa risultare quasi impossibile)
  • studia con impegno e ripeti quotidianamente almeno la lezione precedente, oltre che quella attuale e, nel fine settimana, tenta un ripasso di tutto quello che hai studiato durante la settimana... e magari a fine mese un bel ripasso di tutto quello che hai studiato nel mese
  • non serve studiare per sei ore al giorno, ne bastano anche solo due (altrimenti la mole di informazioni che immetti nel tuo cervello è eccessiva e finisci per non assimilarla) ma devi esser sicuro di aver capito al 100%
  • studiare solamente non serve a nulla: devi usare, sia attivamente (tu che usi quello che hai studiato per creare qualcosa) che passivamente (tu che senti/leggi quello che hai studiato)
  • le situazioni di vita reale insegnano, non passare il tempo solo sui libri ma esci e vivi il linguaggio (dopo aver studiato)
  • non avere paura di sbagliare: tanto sbaglierai comunque.
    Prova e fatti correggere, così impari.

In teoria avremmo concluso ma sono sicuro che c'è una domanda che aleggia nell'aria:

 

"e se io non studio il giapponese in Giappone, ma a casa mia in Italia?"

 

Ora, non voglio togliere nulla alle scuole/Università italiane che insegnano la lingua giapponese in Italia, ma ho avuto modo di notare che c'erano miei compagni di scuola che, partendo come me da zero, in un anno superavano e di molto il livello di studenti universitari laureati, anch'essi nostri compagni (si... in una classe, dopo il test iniziale del corso, magari ci si ritrovava io con sei mesi di studio e un laureato che studia giapponese in Italia da tre anni...).

Ma non perché questi ultimi non fossero preparati (in genere, anzi, ho notato che lo studente universitario risulta più preparato sulla "vastità", nel senso che conosce più kanji, più parole...) ma lo studente "sul campo" alla fine parlava più spedito ed aveva, com'è ovvio, più esperienza diretta e quindi dimestichezza.

 

Con questo non voglio dire che se studi in Italia non hai speranze di parlare giapponese, perché, ovviamente, non è così.

Semplicemente ti mancano alcuni contesti (il "bisogno", di cui sopra, ad esempio... ricordi?) per cui, fermo restando che tutto quello che hai letto fino a questo punto, secondo me, è il metodo migliore da mettere in pratica per ottenere risultati, dovrai impegnarti molto di più per ricostruirti le situazioni ottimali per cambiare il "setting" del tuo cervello.

Ovvero...

  • studia ogni giorno, poche ore ma ogni giorno
  • ripeti ogni giorno
  • creati contesti in cui usare il giapponese ogni giorno (sia attivamente che passivamente)
  • non studiare da solo, creati un gruppo (anche solo su Skype ad esempio)
  • non ripetere "a elenco" (esempio: studi le parole "automobile", "casa" e "orologio"... non continuare a ripeterle nello stesso ordine, altrimenti la tua mente memorizza l'ordine dei suoni e li ripete a pappagallo... continua a mescolare e costringerai la tua mente a collegare davvero il concetto col suono/simbolo)

Lo so che non è esattamente una cosa semplice quella di cui parlo, però temo che sia anche l'unico modo realisticamente parlando.

E' ovvio che se, invece di studiare 2 ore al giorno tutti i giorni della settimana, riesci a studiare 2 ore al giorno per tre giorni la settimana... comunque va bene lo stesso.

Ci metterai più tempo, ovviamente, e dovrai fare un po' di fatica in più ogni volta per riprendere il ritmo dopo ogni "pausa", perché tenderai a dimenticare, ma si può fare.

Tutto si può fare.

E' questo il bello.

 

E' venuto fuori un articolo un po' lunghetto, me ne rendo conto e mi scuso (sperando che tu sia davvero arrivato a leggere fin qui) ma quando ho deciso di affrontare questo argomento mi sono detto "o ne parli per bene, oppure dei soliti articoli/video in cui non si dice nulla di concreto ne è già pieno il web, piuttosto evita"... il risultato è questo.
Spero almeno che ti sia utile.