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Tornare a Kyoto

Scrivo queste parole mentre siedo su uno dei comodi autobus cittadini di Kyoto. È estate e il sole splende, le cicale friniscono e, nonostante il caldo e l'umidità, non posso non sentirmi rilassato nel lasciarmi dondolare dall'andare lento del bus.

 

 

Quando il tempo me lo permette, nelle stagioni ad alta intensità turistica, ho iniziato ad accompagnare gruppi di viaggiatori Italiani in visita in Giappone. Grazie a questo, incontro sempre persone nuove ed interessanti, che mi offrono il loro punto di vista, sempre unico, del paese in cui vivo e, nonostante visiti con loro posti che oramai conosco a menadito, vedendo nei loro occhi stupore, interesse, magia o anche solo noia, riesco a sentire sempre un'emozione nuova, diversa, e a riscoprire luoghi che già amavo oppure a vedere con occhi diversi luoghi di cui non mi curavo molto.

Viaggiando con loro, oltre che per il mio lavoro principale, vedo molti posti più o meno noti...

ho visto l'angoscia al Parco della Pace di Hiroshima, con le sue terribili storie sulla bomba atomica; il rilassarsi nella pacifica Nara, con i suoi santuari circondati da lanterne di pietra coperte da muschio; lo stupore per l'affascinante Nikko, immersa nel verde, e molti, moltissimi altri luoghi ancora.

Ma in ogni viaggio mi accorgo che il momento in cui mi si apre il cuore è indubbiamente quando torno a casa: Kyoto.

Non importa quanto abbia passeggiato per le sue vie notturne, quante volte abbia visitato gli stessi luoghi o quante innumerevoli volte abbia voltato un angolo sconosciuto per trovarmi davanti un qualche tempio... Kyoto è Kyoto e nulla, nel mio cuore, riesce ad eguagliarla.

In generale mi piace molto camminare, specie la sera, ma se non ascolto musica mi viene a noia il tempo che scorre, per cui esco sempre con le cuffie e il cellulare stracolmo di canzoni di vario genere.

Banalmente anche solo far due passi per gettare la spazzatura o comprare il latte necessitano di sottofondo musicale.

A Kyoto no.

Esco comunque, per abitudine, con le cuffie nelle orecchie ma, col trascorrere del tempo, mi accorgo (com'è appena accaduto) che non c'è nessuna musica che tenga, che mi basta il suono di Kyoto come sottofondo musicale, il migliore dei componimenti: ascolto la gente, i corvi, in estate le cicale, le campane... ascolto Kyoto. E Kyoto mi parla.

Anche ora, sul bus poco affollato che mi porta in un santuario shintoista al limite della città, alle pendici delle montagne di Arashiyama, mi lascio incantare dalla voce registrata che elenca le fermate e l'infantile musichetta di quando il bus apre e chiude le porte. Proprio ora...

Seduto accanto al finestrino, dietro di me una giovane donna intenta a truccarsi e davanti un anziano signore stanco e accaldato. E io che guardo fuori dalla finestra e mi sento fortunato e commosso.

Sono tornato a casa, a Kyoto.

 

Due righe, scritte di getto sull'onda delle emozioni, in cinque minuti e senza volerle correggere, abbellire o sistemare.

Due righe per voi ma, forse, più per me.