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La fine di un’Era

Chi mi conosce lo sa fin troppo bene: non sono tipo da montare teatrini di lutto per personaggi famosi.
Il perché è molto semplice (e, per me, in realtà, dovrebbe anche essere la norma): si parla di qualcuno che non conosco, di cui ho solo visto/letto l’immagine pubblica e con cui non ho mai interagito.
Il che mi fa pensare: perché l’attore, cantante o personaggio famoso merita tutto questo, mentre altre persone, parimenti umani, muoiono e nessuno ci spende un minuto di tempo per un pensiero?
Ecco, anche questa volta il mio non vuol essere un momento di lutto per un personaggio famoso (che, in quanto essere umano, merita un pensiero di lutto al pari di tutti gli altri deceduti), bensì un pensiero su ciò che l’avvenimento che ha portato alla sua morte potrebbe comportare.
Questa foto l’ho scattata io presso il Santuario Shintoista di Ise, pochi giorni dopo un capodanno… credo fosse il 2019.
Questa foto l’ho scattata io presso il Santuario Shintoista di Ise, pochi giorni dopo un capodanno… credo fosse il 2019.
I bambini che viaggiano da soli nella metropolitana di Tokyo.
Le ragazze che rientrano a tarda notte dopo una serata con gli amici.
L’anziana signora che va a fare la spesa.
Perfino l’impiegato aziendale che si lascia andare ad un pisolino su una panchina, lasciando la 24h accanto a sé.

Sono tutte immagini che dichiarano una cosa: qui (in Giappone) ci sentiamo sicuri.

Ma non è sempre stato così.

Negli anni ‘70 si aveva paura nel prendere la metropolitana.
Negli anni ‘80 era meglio evitare alcune zone (oggi turistiche) dopo il calare del sole.

C’era il terrorismo, anche in Giappone.
Probabilmente avrai almeno anche solo vagamente sentito parlare del famigerato attacco terroristico, noto per l’uso del gas nervino nella metropolitana di Tokyo.
Non è stato l’unico caso, ovviamente.
Ma oggi tutti avevano dimenticato quegli orrori, quei giorni e notti di terrore.
Così tanto dimenticato cosa volesse dire sentire colpi di arma da fuoco o esplosioni, a pochi passi.
Vedere cadere in terra un innocente che ha avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato… e sapere che potevi essere tu, quello a terra.
L’avevano così tanto dimenticato da aver lasciato correre la notizia della scarcerazione di Fusako Shigenobu, leader del gruppo terroristico di sinistra sanguinosamente noto come Japanese Red Army (notoperfino in Italia, visti gli attacchi a Roma e Napoli nel ‘87 e ‘88).

E ieri il fucile ha risuonato in strada.
Nessuno ne ha riconosciuto il suono.
Perfino le forze dell’ordine sono rimaste stordite, come se non sapessero cosa fosse… come se non avessero mai visto un’arma prima.
E un uomo è morto.
Un uomo ha creato un fucile in casa (poiché in Giappone è molto difficile recuperare armi da fuoco), si è diretto verso il comizio, è arrivato proprio alle spalle del politico che voleva uccidere e ha sparato due colpi prima di esser acciuffato e bloccato.
E un uomo è morto.
Cinicamente si potrebbe perfino affermare che per fortuna è morto solo un uomo.
Poteva andare molto peggio.

Certo.
Forse la scarcerazione e l’omicidio non hanno nessun collegamento.
Però son quelle coincidenze che ti fanno pensare… visti i decenni di assenza di questo genere di avvenimenti e l’improvviso ritorno del terrore.

E da qui in poi?
Un caso isolato che dimenticheremo col passare di anni di pace?
O arriveranno i primi emuli, che poi forse tanto emuli non sono… bensì inviati.

E allora tu, genitore, avrai ancora il coraggio di mandare i tuoi bambini da soli in metropolitana?
Tua figlia in giro di notte con gli amici?
Tua nonna anziana a far la spesa?
E ti sentirai di poterti concedere un pisolino sulla panchina al parco… mentre nelle tue orecchie ancora rimbomba l’eco del fucile?

È finita un’Era?
Stiam tornando ad un triste passato?

Mentre sventolano le bandiere di questa o quella propaganda, un uomo, intanto, è morto.
Ovviamente io non ho la sfera di cristallo (come molti altri, a quanto pare), né la presunzione di affermare che mi basta vivere in Giappone da X tempo (che poi questo sia vero o meno…) per avere la verità in tasca… anzi: spero fortemente di sbagliarmi.
Spero che tutto questo che ho scritto, e che riflette semplicemente ciò che penso, ciò che sento, si riveli totalmente sbagliato.
Temo di aver ragione, ma spero di sbagliarmi.