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La differenza tra un Cittadino ed un Residente

Tutto ha avuto inizio da dei post che ho letto e discussioni che ho sentito riguardo ad una regolamentazione provvisoria eccezionale nata in virtù del contrastare il contagio da COVID-19.
L'ho letto e riletto, questo concetto... l'ho ascoltato e riascoltato e, sinceramente, rimango perplesso su come sia possibile non rendersi conto di quanto ovvia sia la risposta in sé.
L'antefatto è semplice: il Giappone è un'isola (un arcipelago, per l'esattezza), per cui, va da sé, un virus o nasce qui oppure ce lo deve portare qualcuno.

In virtù di ciò, per limitare il più possibile l'ingresso di questo virus dall'Estero (ma senza il sottinteso, aggiunto, che quindi i giapponesi pensano che l'Estero sia sporco e infetto: è un dato di fatto che ogni Paese ha, e ha avuto, le sue magagne ed è una conseguenza logica, razionale, voler limitare l'ingresso di altre magagne non desiderate), sono state varate regolamentazioni provvisorie eccezionali: vietato l'ingresso agli stranieri.
La cosa è stata paragonata al periodo storico in cui il Giappone già si era chiuso in sé stesso, impedendo (in realtà limitando, ma il concetto rimane simile) l'ingresso agli stranieri e tutto questo, l'illuminato caucasico italico, lo trova orripilante e da criticare aspramente (non so se prima o dopo essersi lamentato degli sbarchi degli immigrati in Italia).
Un antefatto forse un po' confuso... vediamo se mi riesce di spiegarmi peggio (dando anche un'informazione che ritenevo ovvia ma che, evidentemente, tanto ovvia non era).

La lingua italiana è bellissima.
Concordo sul fatto che sia una lingua assai difficile e complessa (c'è chi dice che sia la più difficile), ma rimane una lingua davvero bellissima: al di là della sua musicalità, è una lingua che, se usata correttamente, anche con estrema semplicità ti permette di esprimere in maniera precisa i concetti.
Prendiamo le singole parole, ad esempio: aprire, socchiudere, sfondare... tutte parole che si accostano al concetto di una porta che non è più un ostacolo per il soggetto, ma la differenza tra socchiudere e sfondare è abissale e rende più che mai chiara l'immagine.
Ecco perché io rimango perplesso quando mi rendo conto che non è chiaro il concetto di "vivere in Giappone", relativo al proprio status: ci sono i cittadini giapponesi e i residenti in Giappone.
E non è solo questione di voler usare delle parole: è proprio nel concetto più profondo che sono radicalmente differenti... differenza che si rappresenta poi in varie sfaccettature di diritti, permessi, doveri e lati negativi.

 

Parliamo di un cittadino.

La cittadinanza giapponese fa sì che tu, a prescindere dalla tua origine, venga considerato a tutti gli effetti, burocraticamente parlando, un cittadino (e scusa la ripetizione) giapponese, al pari di un natio locale.
Per esempio, tra i privilegi, hai tutta una serie di permessi e diritti intimamente legati al tuo essere legato al Paese.
Facciamo degli esempi?
Facciamoli.
Pensi che la politica in Giappone abbia bisogno di cambiamenti radicali?
Benissimo, in quanto cittadino non solo puoi votare, cosa già di per sé basilare, ma nulla ti vieta dal provare la carriera politica.
Credi che ci sia bisogno di sicurezza?
Benissimo, in quanto cittadino puoi entrare nelle forze dell'ordine.
Insomma, potremmo andare avanti con quelle che, probabilmente, starai vedendo come delle ovvietà, ma che sono parte di ciò che rende un cittadino... appunto, un cittadino.
Un cittadino giapponese può votare, ad esempio, per le elezioni politiche italiane?
Ovviamente no: perché dovrebbe avere questo diritto, questo potere?
La cittadinanza lega l'individuo ad un luogo, conferendogli diritti (ed imponendo doveri) specificatamente a quel luogo.

 

Quindi vi è il residente.

Il residente è colui che ha una cittadinanza diversa (si applica questo anche all'interno di uno stesso Paese, ad esempio: registrato come cittadino di Milano ma residente a Roma, per dire) ma che ha ottenuto un permesso per vivere in un dato luogo, permesso che conferisce alcuni diritti e alcuni doveri.
Essere, ad esempio, cittadino italiano e residente in Giappone dona alla persona in questione doppie possibilità, anche se, nel caso "minore", ovvero nella residenza, ovviamente, i diritti (ma anche i doveri) sono minori rispetto a quelli di un cittadino.
Io, ad esempio, ho la cittadinanza italiana ma la residenza in Giappone... se un domani volessi usufruire della Sanità italiana, in quanto gratuita (mentre in Giappone è a pagamento, legata per lo più a polizze assicurative), potrei farlo in quanto rimango cittadino italiano.
Mia moglie, cittadina giapponese, invece no.
Io posso entrare in Europa e spostarmici senza alcun problema, mia moglie no.
Insomma, io posso fare tutto quello che fai anche tu, in Italia, e, allo stesso tempo, ho diritti e doveri anche in Giappone.
Mia moglie ha maggiori diritti e maggiori doveri (faccio un esempio "limite", che non si applica in Giappone ma che, credo, sia molto utile per capirci: nessun Paese chiede l'anno di leva militare ai residenti ma solo ai cittadini) in Giappone ma non ha nulla in Italia.

 

Questa è, in sintesi, la situazione.
Allora dove sta il problema?
Il problema sta quando il residente pretende "lo stesso livello" del cittadino, pur volendo mantenere anche la cittadinanza italiana.

Cioè io voglio essere al pari di un cittadino giapponese, quanto mia moglie, ma voglio anche mantenere tutti i miei "poteri" da cittadino italiano... che invece mia moglie non ha.

Non so se rendo l'idea di quanto assurdo sia anche solo pensarlo: se si potesse fare così, a che pro una persona dovrebbe mai voler essere cittadina da qualche parte?
Non sarebbe più comodo esser residente un po' ovunque?
Tento di ottenere la residenza italiana, poi quella giapponese, quella tedesca, americana, russa, irachena e via dicendo... così dovunque vado devo esser al pieno dei diritti (i doveri, tra l'altro, in questo genere di discussioni vengono spesso dimenticati).

E... no, temo che, sebbene sia fanciullescamente una bella fantasia, tutto questo sia anche qualcosa di improbabile.

 

Come fare allora?
Bisogna decidere.
Bisogna decidere chi si vuol essere a livello burocratico.
Perché, intendiamoci, stiam parlando solo di fogli di carta eh.
Io a sentire frasi come "io sono italiano, fiero ed orgoglioso, e non rinuncerò mai alla mia italianità cambiando cittadinanza" mi si accappona la pelle: cioè, essere italiano è avere il passaporto italiano?
Tutto qui?
Io pensavo fosse un fattore di cultura, di lingua, di mentalità, ecc ecc... non credevo che tutto si risolvesse semplicisticamente con un foglio con su scritto "italiano".
Qui stiam parlando solo di burocrazia, ciò che la persona è rimane legato esclusivamente alla persona: seriamente qualcuno potrebbe pensare a me come ad un giapponese se io domani, per un qualche motivo, cambiassi cittadinanza?
Non sarei più italiano? Davvero?

Io credo non sia così.

Ma sto andando fuori topic: torniamo alla burocrazia.

Il caso che ha fatto scoppiare (per l'ennesima volta, in realtà... evidentemente è un concetto davvero difficile per molti emigrati) la "ribellione social" (perché nasce e muore col post indignato su Facebook) è stato legato ad una regolamentazione provvisoria eccezionale legata alla pandemia di COVID-19: in Giappone si è deciso che, sebbene tutti abbiano sempre e comunque il diritto di poter uscire dal Paese, solo ai cittadini è consentito rientrare.
I residenti non hanno questo diritto.

Ora, possiam discutere sull'efficacia nella lotta al contagio, possiam discutere sul fatto che la Costituzione giapponesi metta dei paletti insormontabili su molte questioni... possiam discutere su tante cose, ma su una di sicuro no: è ovvio che un cittadino abbia diritto di rientrare nel suo Paese.
Non è altrettanto ovvio che lo stesso diritto valga per un residente.
Perché?
Semplicemente perché 
a) non sono la stessa cosa
b) il cittadino è parte di quel Paese
c) il residente è un ospite, a cui si da accesso a determinati diritti per tempi più o meno lunghi

Questa cosa può creare delle difficoltà?
Ma è ovvio!
Non si chiama "crisi mondiale" perché è tutto un passeggiare allegri su prati fioriti...

 

Insomma, io credevo fosse chiara, lampante... logicamente ovvia come cosa e che già il fatto che si utilizzassero parole diverse rendesse ancora più basilarmente comprensibile la differenza tra cittadino e residente.
Ma evidentemente non è così.

Ho letto alcuni residenti italiani (spero non sia così per tutti, ma dubito che ci sia stata una fuga di cervelli... dai cervelli di tutti) che, strutturalmente, con il loro permesso di residenza pretenderebbero i diritti dei cittadini giapponesi ma senza rinunciare ai diritti dei cittadini italiani... mentre ai cittadini giapponesi, giustamente, spetterebbero solo i diritti da cittadini giapponesi, senza alcun diritto in Italia.
Una questione proprio di matematica spicciola... andata decisamente male.

"Ma io pago le tasse": ci volevo fare un Articolo solo riguardo questo ma... direi che già di spazio nell'infinito web sprecato per questo genere di discussioni ce ne sta fin troppo.
Una piccola postilla: il residente, grazie a tutta una serie di pratiche burocratiche (a seconda poi del tipo di Permesso di Soggiorno che possiede), ottiene dei diritti e dei doveri.
Tra i diritti che ottiene vi è quello legato al poter lavorare.
Poter lavorare in un dato Paese ha la conseguenza diretta di dover pagare le tasse su quanto si guadagna nel dato Paese.
Fine.

Quindi il pagare le tasse non implica l'inizio di una frase, bensì ne è la conclusione: non esiste un "io pago le tasse quindi", ma è un "io ho degli introiti qui, quindi pago le tasse".
Le tasse sono, e qui dai, perdonami e permettimi una semplificazione banale per velocizzare il discorso, i guadagni dello Stato: lo Stato non produce nulla, non lavora... lo Stato ottiene introiti dal lavoro di chi vi si trova dentro.
Con questi soldi sopravvive e paga ciò che gli serve.
Ovviamente tutti "vorremmo", ma lo Stato non può basare le sue spese sul "vorremmo" dei singoli individui che si trovano sul suo suolo: deve pensare a sé stesso e, tramite il benessere di sé stesso, donare di riflesso benessere a chi vi si trovi all'interno.
Mi spiego peggio: le persone sul mio suolo lavorano, incassano e mi devolvono una percentuale.
Questi soldi io li intasco e decido di spenderne un po' per la pulizia, un po' per la difesa, un po' per la sicurezza, un po' per la sanità ecc ecc

Tutte queste spese si riflettono su chi si trova in me, Stato: la pulizia fa sì che sia un luogo igienico e quindi non si diffondano malattie, la difesa fa sì che non mi arrivino terroristi o attacchi dall'esterno, la sicurezza fa sì che non ci siano furti e rapine, la sanità fa sì che gli ospedali funzionino e così quando stai male hai subito chi ti cura e che ti curi bene, ecc ecc

Certo, io come residente (e se fossi un cittadino non cambierebbe), pago le tasse e vorrei una moto... ma le cose non sono connesse.
Non è lo Stato che deve comprarmi la moto e comunque, se anche lo Stato, per una qualche manovra economica o quel che è, volesse regalare moto alla gente... non sarebbe legato al fatto che io pago le tasse, bensì a come lo Stato poi ha deciso di investire i suoi denari.
Se la vogliam vedere come "si ma i denari dello Stato vengono dalle mie tasse", allora non ne usciamo più... perché i denari delle tue tasse vengono dal tuo lavoro, il tuo lavoro viene dal tuo cliente, il tuo cliente paga grazie ai soldi del suo lavoro, e via dicendo... si potrebbe risalire infinitamente a monte.
Anche se, in realtà, non tanto infinitamente se si considera un dettaglio che dettaglio non è: tu paghi le tasse per avere il diritto di lavorare.