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Rinfrescando la strada

Le differenze tra ciò che vediamo attraverso i mezzi di comunicazione, che siano social o giornali, e ciò che vedremmo con i nostri occhi: una realtà così frastagliata, così multiforme, così assolutamente legata al nostro cervello, o cuore, e alle lenti che questo fornisce ai nostri occhi.
Immaginazione e realtà, menzogne che non sono tali e visioni parziali: ogni cosa crea una nostra realtà che, quotidianamente, vive dentro di noi e che, al contatto fisico con quella che definisco "la realtà dei dati", può vincere, perdere... e, a volte, convivere.

 

Se dico "Tokyo", probabilmente, la prima immagine che nasce nella mente di chi legge sarà una fotografia mentale di Shinjuku: grattacieli, stradoni, tanta gente, luci nella notte.
A seconda, in seguito, di quanto si frequenti la rete, si potrebbero aggiungere altre immagini: l'incrocio di Shibuya, il Gundam di Odaiba, lo stradone del quartiere di Akihabara e, forse, anche la Takeshita Dori di Harajuku.

Chi l'ha visitata, magari in una bella vacanza, aggiungerà le sue immagini mentali, che possono variare dal ricordo delle metropolitane, l'aeroporto di Narita, la zona dell'albergo... ecc ecc chi più esperienze ha vissuto, più immagini avrà.

Nella mia mente, la parola "Tokyo", evoca effettivamente per prime le immagini di Kabukicho, il colorato quartiere della Yakuza, e lo skyline notturno visto dalla monorotaia sopraelevata che da Odaiba riporta verso il centro.

Tokyo è questo?
Non solo, ovviamente, ma la nostra mente ricollega istintivamente una parola ad una o più immagini conosciute e allegate.

 

E una delle immagini del Giappone che in molte menti si attivano è quella della tecnologia: in Giappone tutti hanno cellulari, anche i più anziani, e ci sono robottini che ti parlano e rispondono alle tue domande sui piani tariffari quando vuoi stipulare un contratto per una linea telefonica.

E ancora ologrammi, musei di arte digitale, enormi robot, videogiochi...

insomma, se parliamo di Giappone, di certo concetti come "kimono" e tradizione si inseriscono potenti, affiancati da una sorta di mondo futuristico.

 

E poi ci sono io che vado a fare la dichiarazione dei redditi per le tasse annuali.

 

Vicino alla zona della Stazione centrale dei Treni si trova l'ufficio apposito, e per raggiungerlo passo tra alti centri commerciali e minuscole casette in legno in stile tradizionale, circondato da una marea di kaishyain (impiegati d'azienda) che, con il loro dress code, sembrano un piccolo esercito di cloni, e signore in kimono (perché siamo a Kyoto, altrimenti altrove in kimono ad andar bene trovi i turisti dalle Filippine).

L'edificio in sé è un comune palazzo di cinque piani, del tutto anonimo, semplice, spartano, con una grande insegna ad identificarlo.

Di fronte si trova una bottega di dolci, vicino un dentista, e case.

Una signora in kimono sta versando acqua sulla strada per rinfrescare l'aria, visto che l'asfalto sotto al sole fa "rimbalzare" il calore, amplificando l'afa.

Davanti all'ingresso dell'ufficio ci sono due secchi rossi pieni d'acqua (suppongo piovana): sui secchi c'è scritto "estintore".

Entro.

 

Tutto è pulito, all'ingresso c'è una bottiglietta con spruzzatore per pulirmi le mani.

Semplici sedie, tutte vicine, lasciando largo nella zona centrale, facilmente raggiungibile.

Un distributore di bigliettini padroneggia la zona e una signora, con mascherina, attende accanto.

Il distributore ha l'aspetto di un vecchio aggeggio anni '80, con i pulsantoni quadrati e, accanto ad ognuno di questi, un foglio di carta con, scritto a mano, uno dei servizi offerti dall'ufficio.

La signora mi aiuta a scegliere il pulsante da pigiare e, dopo un ronzio degno di una macchina a vapore, ottengo un foglietto con stampato, un po' sbiadito, una semplice combinazione di una lettera con un numero a due cifre.
Mi siedo e attendo il mio turno.

 

Anche se all'Ufficio Immigrazione ci sono, qui no: nessun pannello che indica i numeri, bensì dagli sportelli il personale grida "il signor F 24", che, con la mascherina non si sente nulla.

Ma a furia di ripeterlo lo intuisci vagamente e ci provi: ti alzi, controlli se qualcun altro si è alzato nella speranza che fosse davvero il turno... alla fine qualcuno vince e va allo sportello.

L'altro si risiede e sarebbe anche stato, probabilmente, imbarazzato ma tanto nessuno ti ha notato visto che son tutti concentrati a guardare gli schermi dei propri cellulari.

Comunque, questa volta tocca davvero a me e mi dirigo allo sportello.

 

Mi siedo: mi danno dei fogli di carta giallastra stampati a inchiostro e una matita.

Devo scrivere questo dato qui e quest altro qua (che poi io non scrivo mai a mano in giapponese per cui i kanji mi vengon fuori orribili e giganteschi e per farli stare nei campi, soprattutto l'indirizzo di casa, è una sfida da non poco): compilo tutto e consegno.

Mi danno un grosso foglio di carta plastificata: c'è scritto un altro numero.

Torno a sedermi ed attendere, mentre il signore dello sportello prende questi fogli e li porta ad un collega, mettendoglieli in un porta documenti in plastica gialla, impilandoli.

Il collega ha una matita davvero grossa dalla punta rossa da un lato e blu dall'altro.

Usa il lato blu per controllare ogni singolo campo del modulo e, se tutto va bene, ci disegna un piccolo cerchio per indicare che è stato controllato e non presenta problemi.

Se un problema sorge lo evidenzierà con il lato rosso della matita.

Ovviamente nel mio caso sta evidenziando qualcosa.

Vengo chiamato (a voce, ancora "il signor 12").

 

Lo conosco già questo problema perché si ripresenta ogni volta.

In Giappone ognuno ha un cognome e un nome: non esistono doppi cognomi, due nomi, middle name (che ogni tanto sento questa parola ma non ho mai capito cosa sia un middle name).

Nel mio caso è sempre un delirio: non riescono a leggere come mi chiamo, non sanno come scriverlo, un ufficio magari alla fine lo scrive in un modo, un altro ufficio lo scrive in un altro modo e poi non corrispondono (e qui... capisco tutto ma se il Comune scrive Gino Pino e la banca scrive Jino Pino... direi che ci possiamo anche arrivare con la fantasia al fatto che, essendo un nome straniero, nel momento in cui si va a trascriverlo in una lingua non sua, ci si basi sul suono e che, di per sé, comunque non esista una "forma corretta"... ), poi è troppo lungo, poi altro e altro ancora...
Se, semplicemente, si usasse un computer ci penserebbe la macchina a dar sempre la stessa risposta, ma, com'è normale che sia, la mente umana è sempre unica e quindi ognuno genera la propria versione del mio nome.

Versione che, già lo so, al prossimo documento che avrò da sbrigare, cambierà perché qualcosa non va.

L'impiegato ci pensa a lungo, anche perché l'ho messo in una situazione insolita e odiosa: deve pensare.
Il lavoro che gli hanno insegnato e che deve compiere è meccanico: questo va scritto così e se è così lo cerchio di blu, se è scritto in qualsiasi altro modo che non sia esattamente così lo cerchio di rosso e lo rimando indietro fino a che non me lo ripresentano scritto come dev'essere.

Allora cerchierò tutto di blu e passerò il modulo al collega che mi segue nella catena.

Ma nel mio caso il modulo non vuol proprio obbedire e quindi ci troviamo davanti a due soluzioni: o riproviamo il piano che è già fallito una volta, finendo per fare notte (i famosi straordinari giapponesi spesso derivano proprio da questa scelta!) nel riprovare il piano fallito... oppure cerchiamo un piano b.

Finalmente l'impiegato si arrende e siamo alla fase creativa: si inventerà come scrivere il mio nome secondo come crede che sia corretto.

Tanto un modo corretto non c'è, ma ho smesso di discutere sulla cosa da tempo.

Finalmente abbiam deciso di cerchiare tutti i campi di blu.

Torno a sedermi.

 

Il modulo viene ora vagliato dall'ultimo degli impiegati che, controlla ancora che tutto l'iter sia ok e...

No, non temere: controlla solo che a tutto sia annesso il simbolo blu di cui sopra, non controlla davvero, per cui anche il mio modulo passa.

A questo punto copia a mano i dati su altri documenti, fa una fotocopia e prepara tutto il fascicolo mettendoci adesivini colorati e sistemandolo in un folder trasparente, quindi impilando il tutto assieme agli altri nella zona apposita.

In seguito il mio fascicolo verrà messo nell'archivio e solo una sorta di "riassunto" dei dati verrà faxato.

Chiamano ancora il mio numero e consegno il foglio plastificato ricevendo in cambio il ringraziamento, confermo l'indirizzo di casa e il nome varie volte: mi invieranno una sorta di ricevuta con quanto ho da versare in tasse direttamente per posta.

Ringrazio e saluto.

Me ne vado.

 

Uscito dall'ufficio metto su le mie cuffiette, lancio la musica in formato digitale dal mio cellulare direttamente col comando vocale, taglio strada passando prima per il grande dedalo sotterraneo della stazione della metropolitana (così evito sia l'uscita della stazione, gremita di turisti, e due semafori... che in Giappone i semafori hanno un rosso che dura secoli) e poi per il pian terreno di un centro commerciale, circondato da maxischermi, luci, display.

Per strada vedo la pubblicità di un nuovo robot, di forma antropomorfa e dotato di un volto umano, che si può "affittare" in alcuni templi affinché possa pregare al posto tuo... evoluzione dell'app che conta quante volte ripeti la frase della preghiera (per intenderci, hai presente le palline del Rosario? Ecco, quelle, fatte ad app).

In stazione la toilet ha la luce che si accende quando entri, la tavoletta del water che si solleva da sola, lo spruzzino (il famoso bidet alla giapponese) che è connesso a dei sensori di peso di modo che si attivi solo se percepisce che c'è qualcuno che verrà colpito dal suo spruzzo, di modo da non bagnare il pavimento del bagno, e l'asciugamani automatico.

A casa mia tra microonde, TV che si accendono con comando vocale, videogiochi e videogiochi portatili, tablet e iPhone potremmo programmare e dirigere una guerra verso un qualche Paese vicino.

E io, invece, dall'ufficio delle tasse, attenderò una lettera.

Un foglio di carta inserito dentro un involucro di carta e trasportato a mano da un essere umano.

 

Era questa la tecnologia che le nostre menti avrebbero mai immaginato se ti avessi detto la parola "Giappone" (nel mio caso "Kyoto", ma anche a Tokyo, Osaka, Nagoya e via dicendo funziona così) e "modulo delle tasse"?

Su una cosa, però, devo dare merito: dal racconto, tutta la procedura potrà sembrare una cosa lunga secoli, e, nel mio caso, per i problemi di cui ho accennato/sottolineato, indubbiamente ci vogliono un paio di minuti in più, ma va detto che ci avrò messo in tutto un paio di ore, tragitto compreso.
Gentilezza, pulizia, cortesia e impegno indubbiamente non sono mancati.

Ora devo solo aspettare il mio piccione viaggiatore e abbiam finito.