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Le notti di Osaka

Lo so, non sono stato molto presente in questo periodo...
Quando ho scritto il mio primo romanzoAmagasaka: la Discesa della Sacerdotessa, non mi aspettavo certo tutto questo entusiasmo da parte dei lettori.
Così finito uno, inizia un altro... e mi son subito messo all'opera sul seguito.
Come spesso mi accade, da quando ho iniziato a scrivere questo blog, mi arrivavano tanti messaggi con domande e curiosità sul Giappone e molti di questo riguardavano l'argomento Shintoismo, la Religione autoctona locale, così... ebbene si, ho messo in pausa il seguito di Amagasaka e ho iniziato a scrivere un saggio sullo Shintoismo.

Il saggio è finito e mentre attendo la revisione... eccomi tornato sul blog per raccontarti alcuni dei miei pensieri...

 

 

 


Osaka è un'amore carnale.

 

E' facile innamorarsi di una città come Kyoto, con i suoi mille Templi che richiamano immagini di meditazione, silenzio, pratiche esotiche... gli incensi ti inebriano e i sutra recitati, cantati in quel modo così unico ti affascinano.

Molti... no, forse tutti, si lasciano innamorare di Tokyo, la città infinita, i suoi quartieri del divertimento e degli estremi, le sue veloci e labirintiche metropolitane, il suo passo sempre più proiettato in un futuro impossibile e saettante.

Il Monte Koya, l'Isola di Miyajima... quanti luoghi ho sentito nominare dai turisti come ricordi ammalianti, immagini da sogno...

e lo sono, lo sono tutti, non lo nego.

Ma su tutti questi non può non brillare Osaka.

 

Osaka è carne, sangue e desiderio.

E' una città sensuale, ma non di quel genere quasi romantico, quel delicato stuzzicare i sensi: no, Osaka è una passione viscerale e impossibile da trattenere.

E' quell'amore folle e irrazionale che non puoi né capire né spiegare...

 

Parto dal quartiere di Umeda e dalla sua stazione dei treni, mi lascio subito affascinare dalla sagoma dello Sky Building e dalle luci delle viuzze laterali, quelle cariche di locali notturni, discoteche e bar.

Vengo trascinato da quel piccolo fiume di persone che si dirige verso la via nota come Midosuji.

Non è la calca di Tokyo, non sono i grigi uomini in completo che, stanchi, escono dal lavoro e con le facce inespressive si trascinano come zombies verso un paio di birre per ridarsi forza...

no, questi sono gli abitanti di Osaka e non conoscono il significato della parola grigiume come non conoscono il significato della parola stanchezza.

Loro sono vivi, lo sanno e non vogliono dimenticarlo, anche dopo ore e ore di overworking.

 

Mi fermo a bere una birra nel locale di un mio caro amico.

Appena apro la porta lui e sua moglie mi sorridono, i loro volti si illuminano come sempre e mi rivolgono parole gentili.

Mi fanno accomodare e iniziamo a chiacchierare.

Un altro avventore del pub mi guarda incuriosito e subito la moglie del mio amico gli racconta chi sono e ci aiuta a far amicizia.

Una birra, mi ero detto, ma alla terza sono ancora qui a chiacchierare con una decina di persone, alcune delle quali mi hanno già aggiunto su Twitter.

 

Riprendo la strada, respiro una boccata di aria fresca mentre vengo superato da un gruppo di ragazzi in skate.

Hanno i capelli tinti e indossano vestiti dai colori sgargianti: amo la fantasia di Osaka.

Due donne in pelliccia mi passano accanto e subito vengono raggiunte da altrettanti signori, intenti a far loro la corte e invitarle a bere.

Li sento allontanarsi ridendo.

 

Attraverso il primo fiume e mi fermo un attimo a guardare il Giardino delle Rose di Nakanoshima.

Qui si trova anche il bel palazzo del Consolato Italiano.

E' notte, però, e posso solo ricordarlo, lasciandomi cullare dalle luci soffuse dei grattacieli delle aziende, neon di un blu notte, caldo, che si riflettono sulle acque calme del fiume.

 

Sono giunto nella zona di Shinsaibashi e da un lato vedo una Statua della Libertà che torreggia sulla cima di un alto palazzo: quella è America Mura, forse il luogo più assurdo e bizzarro di tutta l'assurda e bizzarra Osaka.

Lì ci sono giovani che si divertono, passeggiano, vestono alla moda (qualsiasi moda), che bevono nella piazza circolare un paio di lattine di birra, mentre ai loro piedi si trovano le buste che contengono gli stravaganti vestiti, scarpe e accessori che hanno comprato nei piccoli negozietti.

E' una piccola Harajuku?

No, America Mura è alla moda ma è anche economica.

 

E' improvviso.

Improvviso ed inaspettato.

L'impatto con i suoni di mille locali, ristoranti e le grida di chi ci lavora che tenta di invogliare la gente di passaggio ad entrare.

Sono stordito, stordito e ammaliato.

Attraverso la lunga via coperta lasciandomi saturare da tutti questi suoni che significano vita, allegria e forza.

E poi raggiungo il secondo fiume.

 

Da un lato vedo lunghe vie sature di lampioni accessi, tutti dalle forme stravaganti che sembrano richiamare figure umane in preghiera, dall'altro invece insegne luminose che si accalcano sulle facciate dei palazzi.

Sono così tante che non riesco neppure a leggere uno di questi neon completamente, poiché è coperto da almeno un altro.

Un enorme granchio metallico, appeso sopra un ristorante, muove lentamente le sue chele.

Tutto questo non ha alcun senso.

Mi piace e mi rapisce.

 

Mi fermo per fumare una sigaretta.

Qui, per strada, si può.

Ad Osaka si può tutto, specie quando calano le tenebre che brillano di mille luci.

Accanto a me c'è una giovane ragazza in minigonna, nonostante il freddo tremendo, che riesce a scrivere messaggi sul cellulare nonostante porti delle unghie finte di lunghezza incredibile.

Subito oltre c'è un signore di mezza età avanzata che mentre tiene la sigaretta tra le labbra si stiracchia. Sembra stanco ma non gli importa.

C'è anche un signore molto anziano che sta leggendo un libro.

Due turiste asiatiche che fanno fotografie.

Arriva un altro signore in completo... non nero, nemmeno grigio... no, è zebrato.

Interessante.

Decido di procedere.

 

Prima di attraversare il fiume faccio una passeggiata tra le luci di Dotonbori e mi fermo a comprare un set di 5 Takoyaki, le polpette con dentro un pezzettino di polpo.

Sono bollenti e lo so, per cui aspetto un po' prima di mangiarle: il freddo della notte le porterà ad una temperatura a me gradita entro breve.

Volevo rimanere leggero, in realtà, per cui avevo chiesto al signore che le faceva di metterci poco condimento... meno male: mi ha gridato che parlo bene giapponese e mi ha messo qualche chilo di salsa e una piramide immensa di scaglie di pesce essiccate.

Mi siedo un attimo per mangiarle e due ragazzi vestiti d'arcobaleno che stanno mangiando anche loro qualcosa, iniziano a chiacchierare con me.

Si uniscono un gruppo di ragazze (credo) molto giovani.

Poi vanno via tutti assieme, appena conosciuti ma già pieni di vivacità e allegria verso una qualche discoteca qui vicino.

Li ho salutati come se fossimo grandi amici... ma non ci siamo neppure chiesti i rispettivi nomi.

 

Il fiume Dotonbori luccica di una vitalità incredibile, non sembra neppure esser davvero formato d'acqua quanto più di una miriade di scie elettriche dei più disparati colori.

A guardarli bene, i palazzi che vi si affacciano sembrano quasi sul punto di caderci dentro, mentre un battello passa proprio sotto al ponte e le persone che ci son dentro si sbracciano per salutarci.

Una coppia di mezza età mi sorride e li salutiamo assieme.

 

Arrivo nel quartiere di Nanba e vengo assalito dai ricordi di quando qui ci venivo per studiare giapponese.

La stazione è immensa e preferisco non ricordare quante volte mi ci son perso dentro.

Davanti alla sua bellissima entrata principale si trovano due artisti: una ragazza che canta su una base musicale mentre un ragazzo sta ballando in stile break.

Hanno un piccolo seguito e vendono un CD.

Mi fermo a guardarli per un po' e quando, finito un pezzo, mi unisco al piccolo coro che gli fa i complimenti, si stupiscono perché "addirittura uno straniero" ("外国人さんまで!" dicono) gli ha fatto i complimenti.

Alcuni si voltano a guardarmi e mi sorridono.

 

Riprendo la mia strada e costeggio la grande stazione, passando proprio davanti alla mia scuola che, ora, ha le serrande giù... mi fermo un attimo davanti all'ingresso, dove tante volte mi fermavo con i compagni a chiacchierare, poi riprendo.

Le vie si fanno per un po' più buie, meno affollate... ma non i suoni: giusto una o due traverse più in là c'è un'altra via di locali e da quella direzione giungono saltuari avventori che si stanno spostando verso un altro locale.

Sto per sorpassare un signore sulla cinquantina mentre do un'occhiata al cellulare.

Avrà pensato che mi sono perso e mi chiede se ho bisogno di aiuto.

Gli rispondo ringraziandolo ma che conosco la strada per la mia meta.

Anche lui si sta dirigendo lì...

 

E' un dirigente di una nota compagnia di elettronica con sede a Nanba e, dopo un paio di birre con i colleghi, si dirige verso Shin Imamiya.

Non è esattamente dove sto andando io ma è il quartiere accanto, noto per essere il quartiere a luci rosse.

Bere con i colleghi è divertente, mi racconta mentre cammina al mio fianco, e poi rende affiatati, migliora lo spirito di collaborazione del gruppo di lavoro... ma dopo preferisce svagarsi da solo, prima di rientrare a casa.

Non è sposato e un po' se ne pente, guarda con un piccolo velo di tristezza le coppie che, mano nella mano o a braccetto, ci passano accanto.

Infine mi lascia il suo 名刺 (meishi, il biglietto da visita) e io gli lascio il mio.

Qualche inchino, un paio di saluti, raccomandazioni e ringraziamenti e ci salutiamo alle porte dove le nostre strade si dividono.

 

Le notti di Osaka sono abbaglianti.

Le luci si impregnano del calore e della vitalità della gente, per le strade e nei locali angusti e chiassosi.

E' un luogo unico in Giappone.

Osaka è imprevedibile: ci vai per salutare un amico e bere due birre e rientri con una montagna di numeri di telefono e biglietti da visita.

Non puoi non amare Osaka: è quella donna sensuale e imprevedibile, divertente e pericolosa... quella da cui dovresti stare alla larga ma da cui ti senti inesorabilmente attratto.

E' la vetta più alta della delizia dei sensi e la tua rovina.

 

E il suo cuore più eccentrico è Shin Sekai.

Letteralmente significa Il Nuovo Mondo, ed in effetti è di certo un mondo a sé.

Un pallone dalla forma di pesce palla di proporzioni immani mi da il benvenuto, enormi dipinti di lottatori di Sumo risplendono dei riflettori al neon, colori e colori, suoni e suoni... è il caos primordiale fatto elettrico e gettato nella mente instabile di un architetto insonne.

Tutto converge verso la Torre di Osaka, tutto converge in strada e dalla strada tutto esplode.

Ancora gente dai vestiti eccentrici, unici... qui sono liberi e possono fare quello che vogliono, liberi dalle regole, liberi dalle catene che imprigionano la mente e la fantasia individuale.

Parlo, scatto foto, mi scattano foto, ci scattiamo foto, parlo e ancora parlo...

 

Entro in un locale in cui ero andato un paio di volte perché ci lavorava una mia amica.

Lei non ci lavora più da un paio di anni oramai ma il gestore si ricorda ancora di me.

Non sono passati dieci minuti che, davanti ad una birra offertami da qualcuno, sto parlando con un fiume di gente che muta in continuazione.

 

No, non fraintendere.

Non sto raccontando una storia strana, una unicamente mia.

Ti sto solo raccontando di una comune notte di Osaka, una che è accaduta a me e a qualche altro milione di persone in giro questa notte.

Qui tutti parlano con tutti, tutti fanno amicizia per una sera con tutti, tutti domani si ricordano di aver detto o sentito qualcosa da qualcuno ma nessuno si ricorderà, forse, il nome di chi era.

Guarderemo qualche biglietto da visita senza ricordare quando e perché ce lo han consegnato... e dopo qualche tempo cancelleremo quel contatto di Twitter con cui non abbiamo mai scambiato nemmeno una parola.

Tra tutti questi, forse, troveremo una o due persone interessanti, persone con cui condividiamo un hobby o un interesse in comune e ogni tanto ci scambieremo qualche messaggio.

Io tornerò a Osaka per un drink o due e li informerò e forse ci riusciremo a vedere per fare altre due chiacchiere.

O forse mi contatterà, un giorno, qualcuno di loro per dirmi che viene a Kyoto, che vuol visitare questo o quel Tempio, e allora magari ci vedremo e mangeremo assieme degli Yatsuhashi, dolcetti tipici di Kyoto, bevendo del Matcha.

 

In treno getto due appunti.

Domani ricorderò questa notte, come tutti le notti simili, più come un meraviglioso, fluttuante sogno al neon, tra luci, suoni e divertimento.

Sono sobrio in corpo ma ubriaco di stimoli e vita.

Domani scriverò parole più sensate per presentarti Osaka.

Domani, forse, perché oggi ti ho solo voluto portare con me in questa lucida, divertente e sana follia.

 

Nelle guide turistiche, quelle di successo, evidentemente Osaka è stata visitata soltanto cercando in Rete qualche monumento oppure un veloce passaggio tramite Google Streetview... e, se da un lato mi fa male leggere parole come "una monotona distesa di cemento", dall'altro forse dovrei esserne contento: in questo la mia Osaka rimarrà ancora un po' questa piccola galassia aliena dietro casa.