· 

A tavola in Giappone

Mi ritrovo davanti ad un basso tavolo di legno, in ginocchio su un bel cuscino comodo, posato su un delicato pavimento di tatami.

Attorno a me la gente ride, scherza, chiacchiera, mangia e, soprattutto, beve.

Ora, la domanda che più mi perplime è: quanto riuscirò a resistere in questa posizione?

 

 

La società e la cultura giapponese sono intrinsecamente legate a doppio filo ad una serie di regole e usanze, com'è normale per tutte le culture, soprattutto quando queste sono antiche e incredibilmente radicate.

Ho spesso sentito dire che "i giapponesi copiano gli occidentali", a volte specificando che vogliono sembrare americani, altre volte che vorrebbero essere europei.

Non potrebbe essere più lontano dalla realtà delle cose: sebbene è possibile cadere in questo errore guardando alla moda giovanile che spesso esalta capelli biondi e lenti a contatto colorate, la cultura giapponese non ha alcun interesse nell'includere oltre elementi occidentali.

Prenderne alcune comodità ed elementi, adattarli alla società e usanze locali e rimanere sempre e comunque fedeli a sé stessi, a ciò che si è e a ciò che si è stato.

 

Un esempio forse tra i più lampanti in questo contesto è proprio la vita a tavola: le usanze, i gesti, i modi di fare... le regole.

 

Come molte cose, anche questa sarebbe un grave errore provare ad analizzarla usando come "concetto base" quella italiana: il paragone ci può essere, anzi è un ottimo metodo per meglio comprendere le differenze, ma è importante evitare di formulare il pensiero, sbagliatissimo, per cui le abitudini italiane siano quelle corrette e quindi analizzare quelle giapponesi in base a cos'hanno di diverso: finirebbero per figurare come sbagliate.

E, decisamente, non lo sono.

 

Tutto ha inizio in orari come le 12.00 (per il pranzo) o le 19.00 (per la cena): molto può variare in base ai vari impegni lavorativi, ma, soprattutto in campagna, difficilmente il capofamiglia (o, nel caso di pranzi/cene di lavoro, il capo) attenderà oltre l'orario stabilito come "normale".

Perchè in Giappone non è necessario esser tutti presenti a tavola per iniziare a mangiare.

 

I piatti arrivano quasi tutti contemporaneamente e vengono messi in tavola, al centro: grandi piatti ricolmi di vari tipi di pietanze, perchè la dieta sia il più completa possibile.

Così arrivano verdure e vegetali annegati nella soia o in un misto di salsa di sesamo, accostati tra loro sia per sapore sia per colore e forma, così che ogni piatto sia anche una goduria per gli occhi oltre che per il palato.

Arrivano piccoli pesci essiccati, immersi in una sorta di caramello dal gusto molto leggero.

Arrivano carne e verdure, con la prima molto grassa e le verdure che si mescolano perfettamente, per colore e cottura.

Arriva il pesce, sia crudo che affumicato.

Le pietanze riempiono il tavolo, abbondano, ma la loro semplicità e ricercatezza nel gusto e nell'esser salubre supera di gran lunga il voler stupire con effetti speciali o con le dimensioni.

È un matrimonio semplice ma molto sentito e tutti i cibi si mescolano tra loro deliziosamente.

Si, perchè in Giappone non esiste un primo, un secondo, ecc... tutto è "il pasto" e si gioisce proprio nel poter godere di vari sapori diversi ma che magnificamente si sposano gli uni con gli altri, alternandosi e mescolandosi.

 

Il riso, rigorosamente in bianco, e le zuppe in genere vengono portate in piccole ciotole singole, per la comodità dei commensali, ma il resto è messo in tavola e viene condiviso da tutti: un meraviglioso bene comune che avvicina e unisce.

 

Una volta seduti (o in ginocchio) a tavola, si augura a tutti gli altri commensali il buon appetito.

In realtà la funzione è quella, ma ciò che si esprime è più personale, intimo: itadakimasu vien detto e significa "gradisco ciò che mi è stato offerto".

Praticamente si ringrazia per il cibo ricevuto.

Non è una cosa corale, dove uno dei commensali intona il rito e tutti rispondono a coro, bensì ognuno lo dice come una cosa sentita, dal profondo della loro storia: chi dovesse arrivare in ritardo lo dirà, sottovoce, probabilmente rivolto verso il cibo stesso.

Evita inchini e mani giunte: non so da dove sia venuta questa immagine ma i giapponesi non usano questa gestualità.

 

È il momento in cui si spezzano le bacchette (se sono di quelle che si spezzano, altrimenti semplicemente si impugnano, con la destra) e si inizia a gradire ciò che la tavola offre.

A meno che non ci si trovi con familiari o comunque con persone con cui si condivide un forte legame di confidenza, è bene utilizzare le due estremità delle bacchette (il cui nome è o-hashi) per scopi diversi: le punte, più sottili, si usano per portare il cibo alla bocca mentre la parte opposta viene utilizzata per spostare il cibo dal piatto condiviso verso il proprio piattino personale.

 

A tavola si chiacchiera molto, si parla di tutto ciò che viene in mente: il lavoro è spesso un argomento fin troppo presente, ma anche la famiglia, i viaggi, le vicende quotidiane e della vita.

È un momento felice per cui vengono sempre evitati i discorsi tristi o che riguardano eventi spiacevoli (insomma, niente politica a tavola!).

Ci si lascia andare e ci si rilassa e si può parlare con la bocca piena ma non si fa rumore nel mangiare: solo ai ramen e simili (tutto ciò che è "spaghettoso") è concesso il suono di risucchio.

E si beve.

 

Mentre l'atsukan, il liquore di riso caldo, è raro a pranzo e maggiormente presente a cena, quello freddo è sempre presente e si alterna tranquillamente con la birra.

Si sta condividendo il cibo, l'allegria e lo stare assieme, sarebbe impensabile, a questo punto, non condividere anche le bevande.

E così nessuno prende il proprio bicchiere vuoto e si versa da bere: è compito di chi si trova accanto, prendersi cura del bicchiere altrui.

Quando il nostro vicino commensale ha il bicchiere vuoto allora lo si riempie, con calma, di modo che possa esprimere un'eventuale diniego o che abbia il tempo per farci sapere di voler bere altro.

Il nostro bicchiere non sarà, altrettanto, mai vuoto.

Si brinda con un "kanpai" a inizio, prima ancora di iniziare a mangiare.

 

La tavola è un momento di gioia e un momento in cui tutti si è vicini e si manifesta quanto sia falso il dire che i giapponesi non sono capaci di esprimere emozioni: vivendo questo momento, non solo concentrati sul piatto che si ha di fronte ma condividendone l'atmosfera, le chiacchiere e lo spirito di condivisione del cibo e delle bevande, si può percepire il sottile ma potente spirito emotivo dei giapponesi e il modo in cui si esprime.

Il perfetto dire del non dire, la precisa comprensione del non esprimere, l'importanza di ciò che è davvero importante e la semplicità del non aver bisogno di ciò che non lo è.

 

Due regole sono fondamentali, per non rovinare l'atmosfera del pasto: non infilzare le bacchette nel riso (poichè ricordano gli incensi nei piccoli altarini funebri) e non ci si passa il cibo l'un l'altro tramite le bacchette (ognuno prende e usa per sè, altrimenti assomiglierà al rito in cui, dopo la cremazione, i familiari separano alcune ossa del defunto dalla cenere per prepararne l'urna).

No, non ci sono forchette, coltelli o cucchiai, in genere. Forse cucchiai, per il brodo, ma non è detto.

E non ci sono tovaglioli.

A inizio pasto, se si è in casa, ci si laverà le mani com'è logico che sia, mentre nei ristoranti verrà portato un tovagliolo umidificato.

Qualcuno disse che è maleducazione usarlo per pulirsi la bocca, oltre che le mani, ma, assieme ad una mareata di regole che sono state dette, anche questa oramai è divenuta, se mai è esistita, leggenda metropolitana che in Giappone è sconosciuta.

 

Un boccone di quei pescetti caramellati e, mentre ancora li sto masticando, porto sul mio piattino un po' di verdure annegate nella salsa di soia e sesamo, mangio un boccone di riso bianco e non attendo che questi sapori scivolino via, perchè le verdure si vanno a mescolare ad essi. Poi arriverà una piccola fettina di carne.

Tutto questo finirà e lo concluderò bevendo un sorso di birra, lasciando che questo assaporare si concluda realmente e dando, quindi, il mio contributo alla conversazione.

Qualcuno accanto a me beve, posa il bicchiere e io lo riempio prontamente, senza smettere di chiacchierare.

È la gioia di stare assieme, la gioia delle persone che si riflette nella gioia dei cibi: condividere.

 

C'è davvero qualcosa di più emotivamente evidente?