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L'ora delle streghe... giapponesi!

È notte fonda, dopo una giornata di duro lavoro un dirigente di una importante azienda di Osaka si sta dirigendo, barcollando per il troppo nihonshu (il liquore giapponese spesso chiamato dagli italiani, erroneamente, sake), verso casa. Il suo turno di lavoro finiva alle 18.00 ma, a causa di un'importante pratica sbrigata via email, si è ritrovato a lavorare nell'ufficio in penombra fino alle 21.00.

Prima di uscire ha letto i messaggi che i colleghi, tra cui il capo sezione, gli hanno inviato: si ritrovavano dopo lavoro presso un delizioso Izakaya (un mix tra un pub e una pizzeria, ma del tutto tradizionale giapponese) non troppo distante. 

Era un invito, un invito a cenare e bere fuori con i colleghi e con un superiore. Uno di quegli inviti che non si possono rifiutare.

E ha cenato, e soprattutto bevuto, e ora è notte fonda. Era l'1.30 quando sono iniziate le cerimonie del saluto finale, un susseguirsi di inchini e ringraziamenti, col sorriso e mille cortesie.

Sta procedendo per la via che costeggia il canale Dotombori, una stradina isolata e stretta, fino a qualche momento prima caleidoscopicamente satura di luci al neon di ristoranti e locali per il divertimento notturno. La strada, però, ora si è fatta scura, le luci dei neon alle sue spalle deformano la sua ombra per forma e colore. Sta costeggiando la massa, scura nella notte, di un piccolo santuario shintoista circondato da alberi: un santuario shintoista di un qualche Kami (spiriti-divinità) che sovrintende il vicino corso d'acqua.

Si ferma un attimo, ancora stordito dai fumi dell'alcool, quando crede di aver sentito un rumore sordo. Scuote la testa e riprende a camminare.

Ma si ferma ancora quando il rumore si ripete.

Non si era sbagliato. Guarda tremante l'orologio: sono le 2.00 della notte.

Inizia a correre, non importa che gli sia caduto il fazzoletto e forse qualche coupon che gli avrebbe concesso degli sconti alla prossima bevuta con i colleghi: ora tutto ciò che gli passa per la mente è solamente correre, affrettarsi il più possibile, arrivare a casa in un baleno.

E, spera con tutte le sue forze, trovarci sua moglie che dorme tranquillamente nel suo letto.

 

Che i giapponesi siano un popolo che lavora sodo è un dato di fatto, universalmente conosciuto. Le storie su interminabili straordinari, sui kaishain (impiegati d'azienda) che tornano ad ore improponibili della notte e si svegliano prima dell'alba, dormendo più in metropolitana che nel proprio letto, sono note a molti. Il protagonista di queste storie è sempre l'uomo in carriera, ma, spesso, viene dimenticata un'altra figura succube di questo sistema altrettanto importante: la moglie.

La moglie bada ai figli, si prende cura della casa ma anche del marito stesso: è lei che porta e ritira i vestiti dalla lavanderia e glieli fa trovare, lindi e stirati, pronti per essere indossati il giorno dopo. È sempre la moglie che si sveglia anche prima del marito, spesso prima ancora dell'alba, per preparargli la colazione.

E poi? E poi, purtroppo con troppo spesso, lo rivedrà solo all'alba seguente.

I rapporti finiscono per raffreddarsi, la coppia di sposi scivola verso l'essere una coppia di coinquilini. Ma è per il bene economico della famiglia, per il futuro dei figli, per il bene dell'azienda e del paese (e non sempre in quest'ordine).

Ma a volte si supera il limite.

Le cene con i colleghi non sono cene e non sono con i colleghi.

Allora la donna forte sopporta, stoicamente: è per il bene della famiglia, per il futuro dei figli...

Ma a volte, in passato come adesso, anche la più forte delle donne cede: cede all'ira, cede al desiderio di vendetta, cede al rancore.

È allora che diventa una strega, una majo.

 

La prima testimonianza scritta della maledizione di cui vi sto per parlare è del 700 circa, ed è incredibile pensare che dopo più di 1300 anni ancora i maschi giapponesi non abbiano capito che le donne non hanno la benché minima intenzione di accettare le loro scappatelle.

Intorno all'anno 1000 le storie, leggende e racconti su questo rituale si sono moltiplicate a dismisura, per poi, durante il periodo della Restaurazione Meiji (quando il Giappone si indirizzò verso una modernità dal sapore occidentale, per alcuni un miglioramento mentre per altri una perdita d'identità nazionale culturale) svanire quasi del tutto.

Quasi però, perché anche se i testi, i racconti e la stampa smise di parlarne, comunque quel rumore continuò a riecheggiare nella notte a memoria del rito e della vendetta delle donne.

Recentemente è tornato davanti agli occhi di tutti, attraverso i più moderni mezzi di comunicazione: si legge sui blog degli appassionati delle storie horror "tratte da una storia vera", oppure nei saggi dei vari ricercatori di fantasmi e misteri, nei manga...

È la maledizione dell'ora del bue (Ushi no koku mairi).

 

Secondo l'antica tradizione giapponese, il nord-est è la direzione sfortunata per eccellenza, non c'è da stupirsi quindi che quando la lancetta dell'orologio segna le 2 vengano in mente fatti oscuri. Finchè la luce del giorno, la luce proiettata dalla Kami Amaterasu, colei che presiede al Sole, rischiara la via non c'è nulla da temere, ma lo stesso non si può dire delle 2 di notte.

I giapponesi affermano che le 2 di notte siano l'ora dei mostri, l'ora dei fantasmi e di tutti quegli spiriti maligni e infausti che minacciano la sicurezza dell'uomo. Se c'è da vedere un Oni (demone), da imbattersi in uno Yurei (fantasma) o attirare l'attenzione indesiderata di una Yako (una volpe magica dall'indole perfida) accadrà indubbiamente alle 2 di notte.

Come le 2 di notte è anche l'ora perfetta per maledire qualcuno.

La maledizione dell' Ushi no koku mairi è un'antica maledizione effettuata dalle donne tradite, ferite, lasciate o umiliate dai mariti. Esse si rivolgono ai Kami che presiedono l'acqua, quindi fiumi, laghi e affini, poiché si ritiene che questi Kami, spesso femminili, prendano a cuore anche gli affari d'amore degli uomini. Si rivolgono quindi a questi Kami in cerca di vendetta, poiché da sole non possono operarla senza finire per esser vittime, in aggiunta, del disonore nonché delle conseguenze legali di atti estremi.

Le storie più antiche parlano di donne che, colorandosi il viso e il corpo di rosso sangue, vestivano un kimono bianco, come i morti, e si levavano in testa una fascia bianca che serviva a trattenere dei bastoncini, sulle cui cime erano accesi dei piccoli fuochi. Così agghindate si recavano presso alberi di grosse dimensioni e di grande età (in Giappone si ritiene che tutto ciò che raggiunge una veneranda età finisca per diventare in qualche modo magico) che si trovassero nei pressi dei santuari dedicati a Kami dell'acqua, recando con se una bambola di pezza o di paglia, un chiodo estratto dalla propria casa e un martello.

Allo scoccare delle 2 di notte, quando tutte le creature maligne sono a zonzo, inchiodano il fantoccio all'albero mentre, a denti stretti, maledicevano a morte il marito fedifrago.

I Kami, dicono i giapponesi, sono particolarmente sensibili alle preghiere così sentite e le creature maligne non aspettano che questo genere di influssi traboccanti odio per divertirsi alle spalle degli umani.

La preghiera viene accolta e per il malcapitato non resta che dire le ultime preghiere, anche se, nelle versioni più oscure dei racconti popolari, anche queste sono inutili poiché l'anima del maledetto è destinata a divenire un giocattolo per gli Oni, precipitare nel Jogoku (inferno) o altri destini altrettanto non invidiabili.

In ogni caso, la maggior parte delle storie, assicura che il destino si compia entro sette giorni (vi ricorda nulla?).

Col tempo e nelle diverse prefetture del Giappone, la pratica ha subito piccole variazioni: prima di inchiodare il fantoccio bisogna pregare immersi nel fiume presieduto dal Kami, deve essere una notte senza luna, i bastoncini sulla testa devono essere cinque piuttosto che due oppure due semplici candele accese.

I dettagli cambiano, ma il fattore scatenante permane identico.

E sono passati più di 1300 anni.

 

L'uomo è arrivato a casa. Nella fretta le chiavi gli sfuggono dalle mani, le raccoglie tremando. Finalmente apre la porta, accende la luce, lascia scivolare via le scarpe, disordinatamente, nell'ingresso ribassato subito dopo la porta, tipico delle case in tutto il Giappone. Attraversa le poche stanze della sua casa e arriva alla camera da letto della moglie.

Si, perché da qualche anno, per dormire meglio e poter lavorare sodo, disse, era preferibile che avessero due camere da letto separate.

Fa scorrere la porta, lentamente, e lo spiraglio di luce illumina la sagoma della moglie, dormiente.

Chiude la porta, emette un sospiro di sollievo e si dirige verso il frigorifero: è sudato e assetato per la corsa. A breve si spoglierà dei vestiti, lasciandoli nell'anticamera del bagno in modo che la moglie possa lavargliela e stirarglieli, si farà una veloce doccia e poi finalmente potrà dormire sereno.

Nel frattempo, dopo aver sentito la porta della sua camera da letto chiudersi, la moglie ha riaperto gli occhi e tira fuori, da sotto le lenzuola dove l'aveva nascosta in fretta, la bambola di paglia.

"Non oggi", pensa, "ma se continua così..."